PIÙ FIGLI O PIÙ BENESSERE? ALCUNE RISPOSTE POSSIBILI
La politica ha scoperto che gli italiani non fanno più figli. Per ogni partito riempire le culle è diventata la priorità. Il governo mobiliterà (speriamo!) 600 milioni quest’anno, poco più di un miliardo nel 2021 e 2 miliardi e 250 milioni nel 2022. Tanti soldi per un Paese che ogni anno spende più di quanto incassa. A un certo punto bisognerà scegliere. Confermare Quota 100 o più nidi? Taglio del cuneo fiscale o sgravi sulla baby sitter? Il rischio che le politiche per moltiplicare i fiocchi rosa e azzurri finiscano penalizzate è dietro l’angolo. Anche perché gli adulti votano e i neonati no.
Senza una condivisione larga, possibilmente bipartisan, della necessità di mettere al centro le politiche per la natalità non si va da nessuna parte. Perciò il pressing sulla politica da parte della cosiddetta “opinione pubblica” dovrebbe essere diffuso e trasversale. Scontato? Non proprio. In questi anni gli italiani si sono abituati a sacrificare l’allargamento della famiglia alla difesa del benessere. La torta della ricchezza dopo la Grande Crisi è diventata più piccola, in compenso siamo in meno a dividercela. E così le fette non si riducono troppo. Ora però si è passato il segno: case di riposo piene e asili vuoti. Senza contare l’argomento principe di chi sa far di conto: «Domani chi pagherà le nostre pensioni?».
Se con le politiche pro natalità si comincerà a far sul serio, prepariamoci, perché questo costringerà tutti a prendere posizione rispetto alla seguente domanda: natalità e occupazione femminile devono crescere di pari passo o l’obiettivo è continuare a scaricare il lavoro di cura – bambini ma anche anziani e disabili – sulle donne? La via più facile, soprattutto per una politica in cerca di dividendi elettorali da riscuotere a stretto giro, è mettere
IN QUESTI ANNI GLI ITALIANI SI SONO TROVATI A UN BIVIO E LE CULLE SONO RIMASTE VUOTE. LE SCORCIATOIE NON AIUTANO
un po’ di soldi in tasca alle famiglie per ogni figlio nato. Ma in un Paese come il nostro, con posti al nido disponibili solo per un bambino su quattro e rette da 700 euro al mese, il rischio che il bonus si trasformi in un ulteriore incentivo alle donne a rinunciare al lavoro è altissimo.
Se davvero vogliamo che le culle tornino a riempirsi non ci sono scorciatoie assistenziali: bisogna ricominciare a produrre ricchezza. Serve un tasso di crescita del Pil che vada oltre lo zero virgola. E per fare questo è indispensabile il lavoro delle donne. D’altra parte lo sanno anche le famiglie: difficile fare il secondo figlio se in casa non entrano due stipendi.
Sia chiaro (anche se dovrebbe essere ovvio): casalinghe e mamme lavoratrici pari sono. Ma la scelta deve essere libera. E oggi libera non è. Tutto spinge le donne – soprattutto quelle con salari d’ingresso medio bassi – a rinunciare “volontariamente” al lavoro. La mancanza dei nidi gratuiti, prima di tutto. Ma non solo. Oggi lo Stato spende 2,5 miliardi per gli sgravi ai familiari a carico. Risultato: se guadagni mille euro al mese conviene lasciare il lavoro, altrimenti il marito perde l’assegno. E non è forse un incoraggiamento alle dimissioni dopo la maternità anche la Naspi, l’indennità di disoccupazione “regalata” alle mamme che si dimettono prima che il bimbo compia un anno? Nessuno però ne parla. E che dire dell’unica misura che aiutava le madri a pagare nidi e aiuti – il voucher baby sitter – cancellata nel silenzio generale con la passata legge di Bilancio? Persino gli sgravi fiscali per chi assume una badante sono maggiori di quelli garantiti a chi ingaggia una baby sitter. Non è finita. Anche il reddito di cittadinanza esclude dal lavoro gli adulti con figli sotto i tre anni. Infine persino le riforme fiscali futuribili come il quoziente familiare sono fatte in modo da incentivare le donne a rinunciare al lavoro.
La politica delle “culle piene” non può che farsi carico della rimozione degli ostacoli al lavoro delle donne. Il che libererebbe risorse da investire in quello che serve davvero. Prima di tutto nidi gratis e con più posti. Attenzione, spesso basterebbe riconvertire le scuole materne a corto di iscrizioni. L’Istituto degli Innocenti di Firenze lo segnala da anni e ora la Fondazione Agnelli ha fatto un po’ di conti: tra dieci anni nelle scuole per l’infanzia ci saranno 6.000 sezioni in meno che vuol dire 12 mila insegnanti in meno e 400 mila bambini in meno. Perché non riconvertire questi posti alla materna in posti al nido? Dopotutto le strutture esistono già. Inoltre potenziare i nidi e renderli gratuiti vuol dire creare posti di lavoro. Andrebbe poi aggiunta una seria politica di sgravi fiscali per chi si fa aiutare qualche ora da una baby sitter. In un settore in cui il 60% lavora in nero, vorrebbe dire regolarizzare automaticamente migliaia di collaboratrici domestiche.
Il confronto in Parlamento sulla legge di Bilancio sta per partire. Speriamo che si parli anche di questo. Tenendo in cima all’elenco degli interventi da finanziare i dieci giorni di congedo per i papà. Bisogna mobilitare 100 milioni, certo. Ma sono ben spesi se servono ad aiutarci a cambiare mentalità. A ricordarci sempre che i figli si fanno – e si curano – in due.
A PROPOSITO DI NIDI GRATIS:
NON È UNA RICHIESTA IMPOSSIBILE, BASTEREBBE RICONVERTIRE LE MATERNE ORMAI SVUOTATE