DA RENZI A SALVINI CORSA A RIPRENDERSI BETTINO CRAXI
Simbolo dell’uomo forte (con pochi voti), l’ex leader del Psi torna sulla scena a quasi vent’anni dalla morte. Tra citazioni e rimpianti. La visita di Totti al cimitero 10 anni fa. E il no
dell’allora sindaco di Firenze all’intitolazione di una via
Nel libro dei visitatori della tomba di Bettino Craxi ad Hammamet, dieci anni fa, è spuntata la firma di Francesco Totti. Il custode aveva intravisto la sagoma dell’allora capitano della Roma mentre usciva dal cimitero; e aveva avvertito telefonicamente Bobo, il figlio dell’ex leader socialista morto diciannove giorni dopo l’avvento del nuovo millennio. Qualche tempo dopo Bobo, incontrando per caso il calciatore a un concerto, si era avvicinato un po’ per ringraziarlo e un po’ per verificare che fosse davvero lui, il visitatore della tomba di Craxi che somigliava a Totti e che aveva firmato il registro come «Francesco Totti». Quasi non credesse che Totti – che viene da una famiglia di sinistra e che si è sempre detto di sinistra, certo, ma che non era mai stato censito tra i socialisti tout court – si fosse recato a visitare la tomba del padre. Il numero dieci della Roma e della nazionale aveva confermato che sì, era lui.
In quegli stessi anni, siamo nel 2009, la parola Craxi è ancora impronunciabile, almeno per un pezzo significativo della classe politica. Soprattutto per quella emergente, a sinistra come a destra. Beppe Grillo, epurato dalla Rai per la celeberrima battuta sui socialisti, e quindi orgogliosamente anti-craxiano, aveva appena fondato a sua immagine e somiglianza il Movimento 5 Stelle. E Matteo Renzi, qualche settimana dopo la sua elezione a sindaco di Firenze, aveva interrotto l’iter per l’intitolazione al leader del Psi di una via del capoluogo toscano.
Qualcosa è cambiato
Dieci anni dopo, quando mancano due mesi alle celebrazioni per il ventennale della morte di Craxi (si terranno il 19 gennaio 2020 ad Hammamet), tutto è cambiato. Il leader socialista viene riscoperto, celebrato, citato, portato a esempio anche là dove sarebbe parso inimmaginabile. La Lega, il partito che cavalcava l’onda di Mani Pulite e che col suo deputato Luca Leoni Orsenigo agitava a Montecitorio il cappio all’indirizzo della Prima Repubblica morente, riscopre il craxismo, tenta di accaparrarsene un pezzetto di eredità. «Craxi è nel pantheon dei miei politici ideali insieme a Sturzo e Bossi», ha spiegato qualche mese fa Giancarlo Giorgetti, che probabilmente sarà presente alle celebrazioni di gennaio in Tunisia. «A Sigonella», ha detto Matteo Salvini citando il celebre niet dell’allora presidente del Consiglio socialista agli Usa, «seppe tenere la schiena ben dritta». Sono passi politici decisamente più significativi del pentimento postumo che nel 2008 aveva messo a verbale Umberto Bossi, quando disse:
«Craxi mi aveva chiesto aiuto, e io non feci nulla».
Giuseppe Conte, da Palazzo Chigi, ha detto più volte ai suoi collaboratori che la sua stella polare è il percorso di Romano Prodi. Anzi, più precisamente, che vuole lavorare per diventare «il nuovo Prodi». Si muove in una logica bipolarista, il presidente del Consiglio; e immagina lo scenario in cui due blocchi contrapposti possano sfidarsi per la guida del Paese. Il giorno dell’Armageddon, come fu per Prodi contro Berlusconi, lui vorrà essere quello che contende Palazzo Chigi a Salvini. Eppure neanche «Giuseppi», come è stato ribattezzato nell’ormai celebre tweet di endorsement da Donald Trump, ha resistito al fascino della citazione craxiana dicendosi in privato – proprio a proposito del rapporto con gli Stati Uniti e in merito al suo coinvolgimento nell’ultimo rivolo di Russiagate – «più duro di Craxi a Sigonella».
Qual è il fascino di Craxi nel 2019? Che cosa c’entra l’alba della presunta Terza Repubblica col protagonista indiscusso del crollo della Prima? L’elevazione del «si stava meglio quando si stava peggio» a legge della politica – la stessa che ha portato un pezzo di sinistra a rimpiangere Andreotti quando c’era Berlusconi, Berlusconi quando c’era Renzi, Renzi quando c’era Di Maio e Di Maio quando c’era Salvini – basta per spiegare la gran voglia di craxismo che si respira a vent’anni dalla scomparsa del leader del Psi, morto ad Hammamet da latitante?
Il dietrofront
Nel 2018 Matteo Renzi, nove anni dopo aver negato a Craxi l’intitolazione di una via di Firenze, ha utilizzato una celebre frase dell’allora leader del Psi – che quest’ultimo aveva pronunciato
dopo il suicidio del socialista Sergio Moroni – per attaccare il M5S. «Hanno creato un clima infame». Oggi, con la fondazione di Italia viva, l’ex segretario del Pd tenta di imitare Craxi nel miracolo di riuscire ad arrivare a Palazzo Chigi con un partito lontano delle percentuali dei big. I paralleli tra i due, sempre negati dai custodi dell’ortodossia craxiana, tornano ciclicamente nel dibattito tra gli osservatori della politica. Ed è un fatto – simbolico, più che altro, comunque un fatto – che sia stato proprio un accordo col Partito socialista italiano, oggi guidato da Riccardo Nencini, a consentire alla nuova creatura renziana di avere un gruppo parlamentare autonomo al Senato.
Un’eredità divisa
Nel centrodestra così come nel centrosinistra, l’eredità ufficiale del craxismo si era divisa in più pezzi come si erano divisi i due figli dell’ex premier. Bobo col centrosinistra, sottosegretario agli Esteri con D’Alema (2006-2008); Stefania col centrodestra, sottosegretaria agli Esteri con Berlusconi premier (2008-2011). Storie e vicende umane che si mischiano, si fondono. In una miscela che a volte esplode, si ricompone, torna a esplodere. Berlusconi amico di Craxi, Berlusconi che va al governo sulle ceneri della Prima Repubblica, Berlusconi che non sarebbe mai andato a far visita a Craxi ad Hammamet (c’era andata la moglie di allora, Veronica Lario), Berlusconi che l’avrebbe visto per l’ultima volta nella primavera del 1994, quando stava per diventare premier e i due, a Roma, abitavano a pochi passi (Craxi all’Hotel Raphael, Berlusconi a via dell’Anima) e si incontravano qualche volta di nascosto.
D’Alema è premier quando Craxi sta morendo, D’Alema che tratta con Francesco Saverio Borrelli il ritorno in patria dell’esule-latitante prima della morte, l’ipotesi della grazia che – ricorda oggi Bobo Craxi – «Ciampi avrebbe concesso perché c’erano le condizioni politiche per arrivarci, nel 1999».
Sarebbe arrivata prima la morte. Ad agosto del 1999, pochi giorni prima che la malattia lo conduca nell’anticamera della fine, Craxi riceve ad Hammamet l’allora giovanissimo Fabio Caressa, da anni il volto e la voce più noti di Sky sport. Il giornalista lo intervista per l’emittente Telepiù a proposito della sua fede per il Torino. Dirà, nel corso della chiacchierata,
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