La premier bengalese è dura con tutti. Profughi compresi
Sheikh Hasina è inarrestabile. Ha accusato il vicino Myanmar (ex Birmania) di mettere mine sul confine per impedire ai 420 mila profughi Rohingya, scappati nel suo Bangladesh due anni fa, di tornare a casa. Poi ha aggiunto senza mezzi termini: «Per noi sono un peso, l’Onu crei una zona in cui proteggerli in patria». Quindi ha reagito ai disordini scatenati da post antimusulmani (in un Paese di 168 milioni di persone islamico al 90%) che hanno appena causato varie vittime: «Voci incontrollate girano su Facebook per creare un clima di anarchia. Troveremo chi vuole pescare nel torbido», dando un colpo anche al social. Insomma, l’aspetto della premier del Bangladesh – una nonna in elegante sari – non tragga in inganno. Quando si arriva al quarto mandato (ora è in carica dal 2009) si abbandona ogni riserva. A 72 anni, Sheikh Hasina ne ha viste d’ogni genere: la politica fin da piccola da figlia del primo presidente del Paese, il matrimonio combinato, l’assassinio dell’intera famiglia (si è salvata perché all’estero), il carcere, l’esilio, tentativi di omicidio… Ciò che non uccide rinforza, dicono. A dicembre è stata rieletta a larga maggioranza nonostante l’accusa d’aver fatto imprigionare la principale oppositrice. Il suo Bangladesh è l’economia più veloce dell’Asia; nel 2021 punta a digitalizzarsi, entro il 2030 a diventare Paese sviluppato. Certo, i problemi sono enormi. Ma se da anni scala la classifica delle donne più potenti nel mondo un motivo c’è.