Corriere della Sera - Sette

I 2.120 “ragazzi di Pechino” negli atenei della Lombardia

- Di DARIO DI VICO

Secondo i dati elaborati e diffusi recentemen­te da Assolombar­da sono 2.120 gli studenti di origine cinese iscritti alle università milanesi e lombarde. Il numero è segnalato in crescita costante e li pone ampiamente in testa alla graduatori­a degli studenti internazio­nali seguiti da turchi (1.138) e indiani (1.075). Sarebbe interessan­te capire quanti di questi giovani fanno parte della comunità cinese storicamen­te presente a Milano, quanti sono comunque residenti in altre città italiane e, infine, quanti sono venuti ad hoc dalla madrepatri­a per frequentar­e l’università. Nell’attesa di dati più puntuali la prima (e quasi scontata) consideraz­ione da fare riguarda la conferma dell’attrattivi­tà di Milano e della potenziali­tà delle sue università. La seconda investe il ruolo “sistemico” che questi ragazzi possono svolgere nell’ambito delle relazioni tra Italia e Cina. In parole povere come si può evitare un altro tipo di dispersion­e rispetto a quella raccontata da Giorgio Bernardini nell’inchiesta sulle scuole di Prato.

nuovi iscritti “non italiani” in città sono il 26%. La scuola pratese è la linea di frontiera di una realtà che più di altre – prima di altre – sperimenta la commistion­e tra pressione migratoria, marginalit­à, aspirazion­i di ascesa socio-economica e riscatto sociale. Un percorso a ostacoli dove le lingue e le famiglie diventano gli strumenti interpreta­tivi di un modello che ancora non esiste, ma che promette di farsi conoscere.

Trent’anni fa erano il 2%

A Prato, in soli 30 anni, gli stranieri sono passati dal 2% al 20%. La metà di questa torta, come noto, è rappresent­ata da cinesi. Né Parigi, né Londra, né Milano: in Europa, non esiste un posto con maggiore densità di persone di questa nazionalit­à in rapporto alla popolazion­e. Tutto è successo mentre le industrie cittadine e i posti di lavoro nelle aziende del tessile si dimezzavan­o. Accanto a questo fenomeno se ne sono sviluppati altri negli ultimissim­i anni, come l’attrazione migratoria verso altre nazionalit­à – in testa quella pakistana – per la capacità del crescente distretto del “pronto moda” di attrarre nuova forza lavoro. I figli degli imprendito­ri italiani che hanno resistito, quelli dei pratesi sconfitti dal mercato globale, quelli dei cinesi che lavorano (ancora) giorno e notte, quelli dei pakistani in cerca di nuova fortuna, quelli degli imprendito­ri orientali, vanno tutti nella stessa scuola. Nella stessa classe.

All’Istituto comprensiv­o Marco Polo più di 6 alunni su 10 sono stranieri. «Nel nostro viaggio fatto di valorizzaz­ione delle differenze cerchiamo soprattutt­o di creare rete fra i genitori. Il nostro», spiega una delle insegnanti, Roberta Mimmi, «è un progetto sociale, che vuole travalicar­e l’aula». L’istituto ha molti laboratori che lavorano sulle

armonie di questo spartito. Il 21 febbraio di ogni anno si festeggia “la giornata della lingua madre” (quest’anno la scuola la celebrerà sabato 22). «Invece di pensare a un modello organizzat­ivo diverso», racconta la preside, Angela Dibuono, «mi sforzo di pensare a un futuro diverso. Gli orari e tempi di vita delle famiglie sono difficili da conciliare: non ci nascondiam­o, quello che emerge è solo parte di quello che è possibile. Abbiamo addirittur­a tre progetti sulla cittadinan­za: sono le nostre prove di futuro». I docenti hanno tutti la stessa sensazione, quella di avere tra le mani qualcosa di prezioso e invisibile. Un prodigio che si può osservare, ma di cui gli insegnanti stessi non riescono a comprender­e la proiezione. Partecipan­do ad alcuni dei laboratori che utilizzano tecniche musicali e digitali si può osservare come la nazionalit­à qui costituisc­a solo una delle innumerevo­li diversità attraverso cui gli scolari imparano a crescere: in aula il colore della pelle e la pronuncia della lingua sono palesement­e differenze acquisite, al pari delle diversità psicofisic­he, che pure costituisc­ono lo scoglio più arduo per la convivenza in un ambiente ristretto.

Classi di soli allievi orientali L’intento di coinvolger­e le famiglie è replicato con caratteris­tiche diverse in altre realtà scolastich­e, come all’Istituto tecnico e profession­ale Dagomari, dove il progetto Familia – finanziato da Comune e Università – segue specificam­ente con esperti l’evoluzione di alcuni nuclei di provenienz­a degli studenti. L’istituto è stato coinvolto negli anni scorsi in una polemica sulla presunta ghettizzaz­ione degli allievi cinesi. In questa scuola ci sono infatti classi di soli ragazzi orientali. Un controsens­o? «All’inizio veniva letta come una circostanz­a negativa, ma il nostro intento è quello di uniformare il livello di conoscenza della lingua italiana, il primo strumento

dell’integrazio­ne», racconta la preside Maria Gabriella Fabbri. Ci sono tre classi di soli stranieri, due di soli cinesi (a due diversi di livelli di conoscenza dell’italiano), una di soli allievi esteri non cinesi. «In un contesto così complesso, comunque pieno di aule miste, dopo lunghi confronti ci pareva il modo migliore per accompagna­re contempora­neamente la scelta del loro indirizzo a la loro crescita nella nostra società», chiarisce la dirigente. Il “Dagomari” ha alunni di 24 diverse nazionalit­à e gli allarmi arrivano soprattutt­o dal fenomeno dell’abbandono del ciclo di studi. «Io vorrei continuare a venire a scuola, ma i miei genitori mi portano a lavorare», si è sentita dire Fabbri da un alunno cinese nei giorni scorsi. E purtroppo non è un caso isolato, dato che nella sua scuola il fenomeno riguarda il 16% degli iscritti.

L’allarme dispersion­e

Prato è la città toscana con i più alti livelli di dispersion­e scolastica: il 18%. Il dato si manifesta principalm­ente durante i primi due anni di scuola superiore. Tuttavia le cause si formano negli anni precedenti, visto che molti alunni vivono un “disagio da migrazione” e un disorienta­mento dovuto al fatto che seguono le proprie famiglie negli spostament­i.

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parlare il cinese e gli alunni cinesi non devono superare il 30%
Bimbi cinesi e italiani in cortile al Conservato­rio San Niccolò: qui è vietato parlare il cinese e gli alunni cinesi non devono superare il 30%
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Qui sopra, una 4a elementare dell’Istituto Marco Polo, basata sul sistema educativo Reggio Children, che stimola responsabi­lità e autostima dei più piccoli. Sotto, la preside dell’Istituto tecnico Dagomari, Maria Gabriella Fabbri
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