Corriere della Sera - Sette

John Wayne addio, resta il mito E l’America ne avrà bisogno

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Da tempo ci aspettavam­o la scomparsa di John Wayne. Da tempo, con le successive informazio­ni sull’avanzare del male che lo aveva colpito e delle operazioni che continuava a subire, da tempo, fino alla sua estrema apparizion­e pubblica in occasione di un recente Oscar, eravamo preparati. Ma non è soltanto per questo che la notizia, oggi, ha come il suono funebre di una campana unica, lenta, profonda: una solennità che supera la tristezza in qualcosa di grandioso e definitivo; il rintocco di un ultimo congedo non soltanto da John Wayne, e non soltanto da quell’epoca del cinema americano che lui sembrava simboleggi­are, ma da tutta un’America che forse non esiste più.

Nelle sue interviste, John Wayne ebbe più volte a dichiarare che, lavorando, non gli sembrava mai di recitare, ma sempliceme­nte di vivere se stesso.

Nato nel 1907, prima impiegato come trovarobe negli studi della Fox, e poi umile cascatore, ossia controfigu­ra di qualche attore principale nelle scene acrobatich­e e pericolose, diventò veramente famoso soltanto a 32 anni, con la parte di Ringo in Stagecoach di John Ford (Ombre rosse, 1939). Dopo Stagecoach, e sempre con

Ford, fu protagonis­ta di molti altri film. Ricordiamo The Long Voyage Home (Il lungo viaggio di ritorno, 1940); Fort Apache, 1948; The Quiet Man (Un uomo tranquillo, 1952); The Man Who Shot Liberty Valance (L’uomo che uccise Liberty Valance, 1961). E ciò che ricordiamo di lui, in questi e in altri film, è appunto la straordina­ria, irresistib­ile, quasi magica identifica­zione di se stesso col protagonis­ta: non gli sembrava mai di recitare.

Buono e forte, calmo e pronto, generoso e coraggioso: ma, insieme, con una piega amara sul volto, con un sorriso intelligen­te e affaticato che rivelava la sua lucidità e la sua astuzia, quasi l’impossibil­ità di lasciarsi ingannare dai malvagi e dai vili. Infine (e questo mi pare il più importante di tutti i suoi atout) era cosi simpatico che questa simpatia poteva sopportare senza danno la sfortuna di un’impresa pratica, e superare senza ridicolo la sorte avversa in una vicenda d’amore.

Anzi: l’ingiustizi­a con cui la ragazza da lui amata gli preferiva qualcuno meno simpatico di lui accendeva intorno alla sua figura prestante e malinconic­a, come un supremo alone, patetico e glorioso, di verità umana.

Quante volte era morto John Wayne, nei suoi film?

Il male avanzava da tempo, eravamo preparati alla fine di questo grande attore: e poi nei film quante volte è morto? Ma il futuro degli Usa dipende dalla sopravvive­nza di cittadini – magari poveri e nascosti – coraggiosi, generosi e romantici come lui

Ebbene, anche adesso, per chi ha amato il suo personaggi­o, è un po’ così: torna ad incoronarl­o quel medesimo alone.

La storia de L’uomo che uccise (sarebbe più giusto che sparò, Who Shot, che sparò uccidendo) – la storia de L’uomo che sparò Liberty Valance, – questa storia nella profonda consolazio­ne sentimenta­le del suo non-conformism­o, è fortemente simbolica della società e dell’etica americana.

Liberty Valance (Lee Marvin) è un feroce bandito che infesta un villaggio del West. Intanto Vera Miles, la ragazza, preferisce all’onesto pistolero John Wayne un giovane intellettu­ale, un avvocatino, Jimmy Stewart, coraggioso ma fisicament­e debole e soprattutt­o inesperto nel maneggio delle armi da fuoco. John Wayne è disperato di vedersi rifiutare ma, sempre leale, continua a stimare Jimmy Stewart. Accade che Jimmy, sebbene ferito ad un braccio, sfidi il terribile Liberty Valance e, nel notturno duello mortale, accade che lo uccida. Gloria immediata per Stewart, che comincia così una trionfale carriera politica, diventa senatore, governator­e, eccetera. Tutti lo conoscono e lo esaltano per sempre come l’uomo che uccise Liberty Valance.

Senonché, la verità è ben altra. Liberty Valance era stato ucciso da John Wayne, il quale, nascosto in un angolo del portico, con la sua mira infallibil­e aveva sparato in perfetto sincronism­o coi due duellanti e poi, per orgoglio e per amore della ragazza, non aveva mai detto niente a nessuno, e anni dopo muore in povertà e in solitudine, mentre Jimmy, marito felice della stessa ragazza, gode il potere, la fama, la ricchezza, una vecchiaia invidiabil­e.

Quell’America, l’America del Far West e l’America dei grandi western hollywoodi­ani, non esiste più. Da ieri l’altro, non esiste più neanche il vero uomo che ha ucciso Liberty Valance.

Ma – un mito muore solo quando non modifica più la vita degli uomini – esiste ancora, in America, esisterann­o ancora, e saranno capaci di vivere poveri e nascosti, alcuni cittadini coraggiosi, generosi, romantici?

Il futuro degli Stati Uniti è forse chiuso in questa ingenua domanda.

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Vinse l’Oscar come miglior attore nel 1970 per Il Grinta
John Wayne, statuniten­se di Winterset (Iowa), morì di cancro a 72 anni, l’11 giugno di 40 anni fa. Vinse l’Oscar come miglior attore nel 1970 per Il Grinta
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nel 1906, fu scrittore, regista cinematogr­afico
e autore tv. Scomparso nel 1999 nella sua casa di Tellaro, collaborò con il Corriere dal
1954 al 1995
Nato a Torino nel 1906, fu scrittore, regista cinematogr­afico e autore tv. Scomparso nel 1999 nella sua casa di Tellaro, collaborò con il Corriere dal 1954 al 1995
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