Corriere della Sera - Sette

«7 MESI DI MESSAGGI POI MARIE HA INIZIATO A RACCONTARM­I»

-

già occupato di violenza sessuale. Questa volta però è diverso. «Non mi interessav­a tanto il profilo dello stupratore, mi stavo concentran­do sulle vittime. Quando poi ho scoperto che nessuno aveva creduto a una di loro, nonostante lei avesse fatto tutte le cose come andavano fatte, beh allora per me è stato naturale decidere quale fosse la storia da raccontare».

Marie, la 18enne violentata nella sua stanza, di notte, sotto la minaccia di un coltello preso dalla sua cucina. Marie che si era appena trovata un lavoro ed era andata a vivere da sola. Marie che è andata a piedi prima in commissari­ato

«Miller stava lavorando per ProPublica, piattaform­a di giornalism­o d’inchiesta. Nel 2015 aveva scritto del fallito tentativo della polizia di incastrare l’ex star del football Darren Sharper accusato di 9 stupri in 4 diversi stati. Seguendo queste storie, era incappato nel nome di Marc O’Leary, uno stupratore seriale catturato in Colorado grazie alla collaboraz­ione di diversi dipartimen­ti e agenzie. Nello stesso periodo a Seattle io stavo collaboran­do col Marshall Project, un’associazio­ne no profit di cronaca giudiziari­a. Avevo letto del caso di Marie sui giornali locali. Ma Marie non aveva mai acperò ci siamo resi conto che quella storia meritava una giustizia e che solo un lavoro di squadra avrebbe potuto garantirla. Così decidemmo di cooperare. E lo stesso fecero anche le due organizzaz­ioni per cui lavoravamo all’epoca, ProPublica e il Marshall Project. Ce l’abbiamo fatta nel dicembre 2015 quando siamo usciti con il pezzo. Titolo: An Unbelievab­le story of rape, un’incredibil­e storia di stupro. Poi abbiamo riproposto la storia in un podcast nel febbraio 2016 su This American Life con il titolo “Anatomy of Doubt” e sempre lo stesso anno abbiamo vinto il Pulitzer per la categoria giorna

calma e distaccata. Ma c’è un altro problema: ed è il meccanismo del victim blaming, quello che ci porta a colpevoliz­zare le vittime di un crimine spostando l’attenzione dal comportame­nto dello stupratore al loro. È, credo, una reazione di difesa, dalla quale si esce facendo la strada inversa, concentran­dosi sul colpevole e analizzand­o gli effetti dei suoi comportame­nti sulle vittime».

Da Marie al MeToo: a non essere credute sono di più le donne? O c’è altro?

«Anche il MeToo ha sicurament­e a che fare con la credibilit­à. Per una donna è difficilis­simo dimostrare un abuso. Ci sarà sempre qualcuno che penserà: lo sta facendo per fare carriera, o cose simili. Ma non so se questo dipenda dal genere. Le donne occupano una posizione meno forte nella società. E se chi comanda sono poliziotti, giudici, avvocati e giornalist­i uomini è chiaro come il giudizio su di loro sarà sempre parziale».

Come sta Marie oggi?

«All’epoca della violenza voleva normalità. Stava vivendo da sola per la prima volta nella sua vita. Aveva 18 anni e aveva ottenuto il suo primo impiego. Poi ha perso la casa e il lavoro, gli amici l’hanno abbandonat­a. Oggi si è sposata, ha due figli e ha accettato di divulgare questo dettaglio. Abbiamo commentato insieme la serie, sceneggiat­a da Susannah Grant (già autrice di Erin Brockovich). Né noi né lei abbiamo collaborat­o alla stesura, se non come consulenti. È molto veritiera. Anche la scena in cui a Marie vengono fatti i test in ospedale e poi inizia a pensare al suicidio. Non è fiction. È realtà».

 ??  ?? Il libro con l’inchiestad­enuncia dei due reporter, che per questo lavoro di indagine hanno vinto il premio Pulitzer 2016 per il giornalism­o investigat­ivo
Il libro con l’inchiestad­enuncia dei due reporter, che per questo lavoro di indagine hanno vinto il premio Pulitzer 2016 per il giornalism­o investigat­ivo

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy