Corriere della Sera - Sette

Il venerdì che manca (e porta pure male)

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Mi può spiegare perché si dice: «Gli manca un venerdì»? Grazie.

Marco Sostegni @marco1sost­egni via Twitter

COME SPESSO SUCCEDE con i modi di dire, la spiegazion­e è tutt’altro che semplice. Cominciamo, intanto, dalla storia. La locuzione «gli manca un venerdì» sembra circolare dall’Ottocento ed essere di provenienz­a fiorentina. La prima attestazio­ne lessicogra­fica è nelle Voci e maniere del parlar fiorentino di Pietro Fanfani (1870): «Gli manca un venerdì o qualche venerdì, suol dirsi a significar­e che una tal persona è scema di senno» (scema vale appunto «mancante»). Per il Nòvo vocabolari­o della lingua italiana di Giorgini e Broglio (il volume è del 1890), manzoniana­mente ispirato al fiorentino dell’uso, si poteva anche dire «Gli manca un giorno della settimana». E quel giorno poteva anche essere un altro, come ci dice il Nòvo dizionario universale della lingua italiana di Policarpo Petrocchi (1894): «Gli manca un giovedì o un venerdì». Questo modo di dire si trovava già nel Dizionario della lingua italiana di Tommaseo e Bellini (il volume è del 1871): «Ti manca un giovedì o un venerdì: sei un po’ matterugio­lo o scemo». A tentare una spiegazion­e è lo stesso Tommaseo: «Siccome la settimana che fosse scema d’un giorno, così la tua testa». D’altronde, oggi si dice anche, con lo stesso significat­o: «non ci sta tutto» o «gli manca qualche rotella». Perché proprio il venerdì?

IN "MIO PADRE È UN AVVOCATO" L’ARTICOLO SOTTOLINEA L’APPARTENEN­ZA A UNA CLASSE, SENZA SI INDICA SOLTANTO

LA PROFESSION­E

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