Corriere della Sera - Sette

IL JIHADISTA BAMBINO DEI FRATELLI DARDENNE

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Il fondamenta­lista islamico reso così dall’improvvisa influenza nefasta di un imam jihadista si è già visto al cinema. Anche più di una volta. Ma nessuno ancora lo aveva calato nei panni di un ragazzino appena adolescent­e della provincia belga, riempito di versetti del Corano ma ancora digiuno di ragazze. Ci hanno pensato i fratelli Dardenne, quelli del capolavoro Rosetta, quelli de Il figlio e più di recente del Ragazzo con la bicicletta. Ovvero tra i più puntuali narratori dell’età acerba del cinema europeo. E anche qui le modalità sono quelle che conosciamo: dialoghi tirati all’osso, racconto scandito da brevi scene senza fronzoli, musica assente, sensazione che tutto avvenga in presa diretta, naturalmen­te. Eppure. Sarà per la scarsa intensità del giovane protagonis­ta Idir Ben Addi nel ruolo di Ahmed, sarà che le sfumature della cultura islamica sono difficili da restituire sullo schermo per due signori europei di 70 anni, ma stavolta il film dei Dardenne ha il fiato un po’ corto. Come se i fratelli avessero perso per strada il loro tocco inconfondi­bile, quello che riusciva a rendere coinvolgen­ti e urticanti storie dalla trama all’apparenza scarna, ad emozionare con un cinema che sta lontano dalle scene madri. Il premio alla regia all’ultimo Festival di Cannes appare quindi più un riconoscim­ento al passato glorioso che al presente, davvero eccessivam­ente inerte.

LA FRASE

Regia di Jean-Pierre e Luc Dardenne, con Idir Ben Addi, Olivier Bonnaud,

Myriem Akheddiou

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