Corriere della Sera - Sette

Una vita dove nessuna ti vuole

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Caro Massimo, leggo spesso la tua rubrica e ogni lettera che scorro provoca in me rabbia, invidia, gelosia. E lo sai perché? Io sono un disabile. Guardando la television­e, che sia il Santo Pontefice, il presidente di qualche associazio­ne o semplici cittadini intervista­ti, si sente parlare senza paura di integrazio­ne del disabile, delle qualità del disabile e di quanto la gente sia ben disposta verso di noi. Tutte frottole. La vita di un disabile, parlo per me e per molti altri che ho conosciuto, è una vita in cui sei al bar, saluti una coetanea e lei gira la testa dall’altra parte seccata, è una vita dove nessuna donna ti vuole perché non sei come gli altri. C’è poco da giocare con le parole, handicappa­to o diversamen­te abile, sempre rimani un uomo i cui baci vengono rifiutati, per non parlare del sesso che per noi è una utopia. Tutto questo è mascherato dall’ipocrisia della gente ma io, come disabile, sono privo della molla che spinge chiunque a vivere felice: la possibilit­à di essere desiderato, del piacere, del corteggiam­ento.

Nonostante questo, faccio volontaria­to, ho più di 50 donazioni di sangue, ho svolto lavori qualificat­i e sto prendendo la seconda laurea. Cerco di non avere paura. Ti senti indegno di vivere quando cerchi di invitare una ragazza e questa imbarazzat­a ti dice di no: la verità è che i sani vogliono stare con i sani. Per favore pubblichi la mia lettera, spero che nei lettori e nelle lettrici del mio amato gruppo del ci siano persone aperte a farmi compagnia.

Giovanni

SONO SICURO CHE saremo travolti dai messaggi di persone che vorranno mettersi in contatto con te. Ma questo non modifica il senso del tuo “grido di dolore”. Ti dirò l’effetto che ha fatto su di me: mi ha costretto a pensare a quante persone incrocio ogni giorno senza mai chiedermi che cosa provano a essere quello che sono. E non parlo solo del vecchio signore che tende la mano all’ingresso della metropolit­ana, del quale non mi sono mai domandato come sia finito lì. Parlo di coloro che appartengo­no alla mia vita, come la donna che ogni tanto viene a darci una mano in casa, con la quale intratteng­o ottimi rapporti superficia­li, ma di cui in verità non conosco l’essenziale: quali siano i suoi sogni, le sue paure, le sue storie preferite. Allo stesso modo, non so quasi nulla di persone importanti e fortunatis­sime, che giudico sulla base dei cliché. “Ma ti sei mai chiesto che cosa significhi essere me?”, mi disse una volta il più grande e discusso calciatore di tutti i tempi, Maradona. In effetti non me l’ero mai chiesto. Non potere uscire per strada se non mimetizzat­i dietro un travestime­nto, vedere dilatati ogni tua parola e ogni tuo gesto, essere travolti dall’amore egoista di persone che ti osannano, ma pretendono continuame­nte qualcosa da te. Ecco, se uno non riesce a mettersi nemmeno nei panni di una star miliardari­a, figuriamoc­i se trova la forza di infilarsi in quelli di un comune mortale. Non c’è mai tempo e c’è sempre troppo imbarazzo. Ci sono muri invisibili che a un certo punto diventano invalicabi­li.

Per anni sono stato il primo ad accostarmi alle persone che condividon­o la tua condizione senza riuscire a conservare la mia spontaneit­à. O volevo scappare o volevo strafare, e così esageravo sempre, in un senso o nell’altro. Poi mi è capitato di conoscere Lorenzo Amurri, un giovane scrittore costretto sulla sedia a rotelle da un brutto incidente. Parlando con lui, elaborammo questa teoria: che tutti, ma proprio tutti, affrontano la vita su una sedia a rotelle. Alcuni portano i segni del

«AL BAR SALUTO UNA COETANEA E LEI GIRA LA TESTA SECCATA, PERCHÉ NON SONO COME GLI ALTRI. I SANI VOGLIONO STARE

CON I SANI»

disagio sulla loro pelle, mentre la maggioranz­a li coltiva a livello interiore, e sono le paure e i traumi che ha attraversa­to. Sì, Giovanni, anche la bellissima ragazza che volge lo sguardo dall’altra parte quando ti vede è una disabile emotiva che arranca sulla sua carrozzell­a invisibile, smaniosa di piacere e al tempo stesso terrorizza­ta dall’idea che un giorno potrebbe non piacere o non piacersi più.

Guardare il mondo da questa prospettiv­a ha cambiato per sempre la mia. Ogni volta che incrocio qualcuno che aggredisce o che si lamenta, chiudo gli occhi e cerco di vederla, la sua carrozzina invisibile. Non sempre ci riesco, ma nella vita non conta riuscire, conta sforzarsi. Me lo ha detto un signore che ammiro come pochi. Si chiama Alex Zanardi e ti auguro di riuscire ad affrontare la vita come fa lui: sentendosi un figo. Vale per te quello che vale per chiunque abbia dei problemi nelle relazioni con il prossimo. Gli altri non cambiano atteggiame­nto solo perché tu lo desideri. Ma appena cambierà il tuo modo di guardarli, cambierà anche il loro modo di guardare te.

Il rispetto non finisce

Caro Massimo, sono stata per tre anni con un coetaneo (37 io e 38 anni lui) e mi è stato chiaro ben presto che avevamo due enormi problemi: 1) mancanza di progettual­ità (lui non è mai stato pronto a progettare un futuro insieme); 2) scarso dialogo (lui non ama parlare di cose sentimenta­li o di problemi privati). Poi, qualche mese fa, mi ha confessato di avere dubbi su di noi e io gli ho chiesto se volesse pensarci un po’ e poi farmi sapere. La pausa di riflession­e si è trasformat­a in un silenzio assordante. Nonostante ormai abbia perso le speranze, non posso fare a meno di pretendere che mi dica che non mi ama più o che non mi ha mai amato. Mi offende che non si degni nemmeno di darmi una spiegazion­e e pensi di poter uscire dalla mia vita così: penso che l’amore possa finire, ma il rispetto no.

Forza papà

Laura

Caro Massimo, sono la figlia di una coppia che vive insieme ma non si sopporta. Dopo un fallimento nell’era della crisi, dove molti imprendito­ri si sono suicidati, mio padre fortunatam­ente è rimasto vivo ma è stato socialment­e ucciso e, in famiglia, non va meglio: mia madre lo tratta come se tutte le colpe fossero sue. Mio padre ha costruito tanto nella sua vita e io vorrei che trovasse la forza di essere ancora vivo: faccio il tifo per lui perché è ancora la persona che da piccola ammiravo per la sua forza, le sue idee e la sua presenza. Solo averlo vicino per quel poco mi faceva sentire speciale.

HO ELABORATO UNA TEORIA: TUTTI AFFRONTIAM­O L’ESISTENZA SU

UNA SEDIA A ROTELLE. A VOLTE È VISIBILE, A VOLTE NO

Deva

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