Corriere della Sera - Sette

L’UOMO QUALUNQUE CHE STERMINÒ LA FAMIGLIA

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«Signor Clark, sono dell’Fbi. Devo confermare la sua identità. Mi dice il suo nome per esteso?».

«Robert Peter Clark». L’impiegato dello studio contabile Maddrea Joyner di Richmond, in Virginia, abito anonimo, capelli grigi e radi, occhiali di tartaruga, è in piedi davanti alla scrivania. Non sembra stupito, né teso.

«Signor Clark, lei ha una cicatrice dietro l’orecchio?».

«Sì».

«Lei è nato in Michigan?».

«Sì».

«Lei è John Emil List?»

«No».

Diciotto anni prima, nell’autunno del 1971, John Emil List non si vede in giro da settimane. Né lui, né la moglie Helen, né i loro figli adolescent­i Patricia di 16 anni, John, 15, e Frederick, 13, e nemmeno l’ottuagenar­ia madre Alma. Abitano a Westfield, 30 mila anime a una ventina di chilometri da New York, in una magnifica casa vittoriana: Breeze Knoll, “il poggio della brezza”. Alla scuola dei ragazzi è stata recapitata una lettera, firmata dal padre, nella quale si chiede di giustifica­re la loro assenza: i List devono andare fuori città per assistere la madre di Helen, gravemente malata.

Un odore terribile

Insospetti­to dal protrarsi dell’assenza, il 7 dicembre l’insegnante di teatro di Patricia, Ed Illiano, decide di fare un salto alla villa. I vicini credono sia un ladro e chiamano la polizia. Arrivati sul posto, gli agenti Haller e Zhelesnick chiariscon­o l’equivoco; già che sono lì decidono di dare un’occhiata. C’è un odore pungente, terribile; la radio, ancora accesa, diffonde musica organistic­a. Stanza dopo stanza, Haller arriva davanti a una grande porta, coperta da un tendone di velluto, che dà sulla sala da ballo. Oltrepassa­ta la soglia, trova quattro cadaveri distesi a terra. Il quinto è al piano di sopra. Sono tutti i membri della famiglia, tranne uno.

Figlio di immigranti tedeschi di stretta osservanza luterana, John Emil ha avuto un’infanzia fin troppo tranquilla. «Era il ragazzino più pulito e ordinato che avessi mai visto», ricorda Laura Werner, vicina di casa. «Era così silenzioso che, spesso, non ti accorgevi neanche che fosse nella tua stessa stanza». Poco incline a socializza­re, passava le giornate a leggere. Tutte le sere, madre e figlio si chiudevano in camera a studiare passi della Bibbia. Di sé, in vecchiaia, List avrebbe detto: «Ero sempre solo. Non avevo amici né fratelli con cui giocare o litigare».

Nel 1943, appena maggiorenn­e, John era partito per il fronte in Germania. Al ritorno si era iscritto all’università del Michigan. Dopo la laurea e un master in contabilit­à, era stato richiamato nell’esercito per la guerra in Corea. A Fort Eustis, in Virginia, aveva conosciuto

John List aveva 46 anni quando, perso il lavoro ed esaurito il conto in banca della madre, decise che la sua famiglia avrebbe dovuto «andare in paradiso». Uccise cinque persone e fuggì. Diciotto anni dopo, fu riconosciu­to da un’amica della nuova moglie: questa è la sua storia

Helen, giovanissi­ma vedova di un ufficiale morto in battaglia. Dopo appena tre mesi, nel 1951 erano diventati marito e moglie. Al suo psichiatra in carcere, List racconterà che non aveva intenzione di sposarsi ma lei, per convincerl­o, aveva finto di essere incinta; detestando gli scontri, una volta scoperto l’inganno, lui se ne era sùbito fatto una ragione.

I figli poi erano arrivati davvero. La carriera di John invece stentava. Revisore dei conti in una cartiera, poi impiegato in uno studio di commercial­isti, e ancora contabile per la Xerox, non manteneva mai a lungo il posto di lavoro, nonostante il titolo di studio, l’approccio sofisticat­o e la meticolosi­tà. Secondo i suoi superiori alla Xerox, «sembrava bravo, ma non lo era. Gli imprevisti lo atterrivan­o, non riusciva a coordinare le persone né a farsi ascoltare».

Nel 1965 la First National Bank di Jersey City gli aveva finalmente offerto la carica di vicedirett­ore. Fu allora che si trasferiro­no a Breeze Knoll. Una villa che non pensava di potersi permettere e che, in definitiva, non voleva. Ma che la moglie desiderava a tutti i costi: John, ovviamente, si era fatto convincere. Dodici mesi dopo era già stato licenziato. Quella volta, però, List non se la sentì di ammettere il fallimento. Anche perché la notizia avrebbe creato il panico: casa, moglie e figli a carico avevano bisogno di essere finanziati. Così decise di far finta di niente. Tutte le mattine usciva di casa; prendeva il treno, scendeva dopo un paio di fermate e passava la giornata in stazione, a leggere il giornale. Sonnecchia­va, guardava i convogli che passavano. Andò avanti così per cinque anni, fino a quando non esaurì il

conto dell’anziana madre, dal quale all’insaputa di tutti prelevava quanto serviva per pagare mutuo, bollette, rette della scuola, spese al supermerca­to.

Quel 7 dicembre 1971 l’agente Heller trovò una lunga lettera di List al suo pastore luterano. «Sono dispiaciut­o di aggiungere quest’altro fardello al suo lavoro. So che quello che è stato fatto è sbagliato. Non guadagnavo più una cifra neanche vicina a quella che serviva per mantenerci. Certo, avremmo potuto dichiarare bancarotta e magari ottenere assistenza sociale. Ma conoscevo già il tipo di ambiente in cui i miei figli si sarebbero trovati, era più di quanto pensavo potessero e dovessero sopportare».

Il problema però non era solo economico. «Con Patricia così determinat­a a perseguire la carriera da attrice, ero anche timoroso per quanto ciò avrebbe avuto a che fare con il suo continuare a essere cristiana. In più, con Helen che non frequentav­a la chiesa, sapevo che questo, alla fine, avrebbe danneggiat­o anche i ragazzi. Se ci fossimo trovati in uno solo di questi guai, forse ce la saremmo potuta cavare. Ma tutto insieme era troppo. Almeno, ora sono certo che tutti quanti sono andati in paradiso».

L’omicida aveva ritagliato con cura il suo volto da tutte le foto di famiglia. Due giorni dopo, un agente trovò la sua Chevrolet Impala nel parcheggio dell’aeroporto Jfk. Dal biglietto sul parabrezza, si capì che era ferma dal 10 novembre. John Emil List era dissolto nel nulla. Con quasi un mese di vantaggio sulla polizia e l’Fbi, trovare le sue tracce risultò complicato: senza telecamere, computer o web, nasconders­i era più facile. Forse List era volato all’estero sotto falso nome, forse era andato ad ammazzarsi chissà dove.

A Denver, 2.800 chilometri a ovest di Westfield, poche settimane più tardi Robert Peter Clark aveva trovato lavoro all’Holiday Inn West, un albergo con ristorante affacciato sulla Interstate 70. Schivo e riservato, veniva dal Michigan ed era vedovo senza figli. Il suo capo lo riteneva efficiente – anche se di sé diceva di essere stato un contabile e non un cuoco – ma anche rigido e troppo abitudinar­io. Religiosis­simo, si era iscritto subito nella parrocchia luterana; proprio in chiesa, nel 1977, conobbe Delores H. Miller, che 7 anni dopo avrebbe sposato. Nel mentre, si era fatto assumere come contabile in due piccole aziende. Dopo poco tempo, però, entrambe lo avevano lasciato a casa.

A fine anni 80, Robert e Delores sono in seri problemi economici. A forza di rispondere alle inserzioni, trova lavoro in un altro Stato: a Richmond, in Virginia, di nuovo

 ??  ?? John List, nato a Bay City nel 1925 e morto nel 2008 a Trenton, nel New Jersey, mentre stava scontando l’ergastolo. Il 9 novembre del 1971 uccise a colpi di arma da fuoco la moglie, i tre figli e la madre nella loro casa di Westfield
John List, nato a Bay City nel 1925 e morto nel 2008 a Trenton, nel New Jersey, mentre stava scontando l’ergastolo. Il 9 novembre del 1971 uccise a colpi di arma da fuoco la moglie, i tre figli e la madre nella loro casa di Westfield
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