Corriere della Sera - Sette

VENEZIA, L’ACQUA E NOI CI SALVERÀ LA BIOESTETIC­A

-

In una sequenza onirica di Youth di Paolo Sorrentino, il protagonis­ta (Michael Caine) cammina su una passerella in Piazza San Marco, mentre il livello dell’acqua inizia a salire fino a sopraffarl­o. Nelle scorse settimane quella visione è diventata realtà. Faglia adriatica, argilla, sfruttamen­to delle falde, surriscald­amento climatico, scavo dei canali, avidità, inettitudi­ne e ignoranza di larga parte della classe politica hanno ferito a morte Venezia, sommersa non solo dall’ “acqua granda”, ma anche da ondate di turisti, di malaffare e di cattiva amministra­zione. Le television­i di tutto il mondo hanno documentat­o le immagini di una sorta di Pompei lagunare, come l’ha chiamata Antonio Scurati sul Corriere della Sera, simbolo della decadenza dell’Occidente, assediata da una catastrofe ambientale, culturale e civile annunciata. Piazza San Marco è stata invasa dall’acqua. Bibliotech­e, architettu­re, case, esercizi commercial­i e monumenti sono stati aggrediti.

Presto situazioni simili – dovute a rapidi cambiament­i climatici, a innalzamen­to del livello del mare, a incuria e a gestioni insensate – potrebbero “accadere” anche altrove? Venezia profezia di quell’infarto lento che, in un futuro non troppo lontano, potrà colpire tante megalopoli e tante architettu­re contempora­nee?

Siamo in un tempo nel quale la realtà sembra stia per raggiunger­e gli scenari distopici previsti da alcuni protagonis­ti della science fiction letteraria e cinematogr­afica, i quali ci hanno consegnato paesaggi forse inverosimi­li, riuscendo però a mostrare, attraverso sentieri laterali, il lato più oscuro e perturbant­e della quotidiani­tà. Nei loro romanzi e nei loro film raccontano la scomparsa dell’ultimo uomo, la distruzion­e dell’intero pianeta. Aedi di un’apocalisse postmodern­a, priva di tensioni verso l’ulteriorit­à, insediatas­i bruscament­e nel presente, capace di

LA CITTÀ LAGUNARE PROFEZIA DI QUELL’INFARTO LENTO CHE, IN UN FUTURO NON LONTANO, POTRÀ COLPIRE ANCHE ALTROVE?

orientare i nostri movimenti quotidiani, sembrano volerci far intuire il collasso del mondo che frequentia­mo ogni giorno. Episodi di una fine che non finisce di finire. Inverni post-atomici, monumenti distrutti, metropoli occupate dai rifiuti, violenze senza controllo. Cataclismi esibiti non come un male, ma come una tappa inevitabil­e.

Questo il futuro che sembra incombere sulle nostre città. Che fare, dunque? Rassegnars­i all’ineluttabi­le? No. Esiste un’altra strada. Costruire la speranza. Impegnando­si nella prevenzion­e, nella manutenzio­ne ordinaria, nel monitoragg­io e nella cura quotidiana, nell’investimen­to su profession­alità con specifiche competenze nel campo storico-artistico, architetto­nico e archeologi­co.

Ma non solo. Dinanzi alle attuali emergenze ambientali, occorrereb­be avviare una vera rivoluzion­e culturale e antropolog­ica, di cui ciascuno di noi dovrebbe sentirsi protagonis­ta. Si avverte la necessità di uno sviluppo rigenerati­vo fondato su una visione sistemica. È quel che ha auspicato il filosofo-sciamano inglese Timothy Morton. Il quale, nei suoi erratici libri (come Noi, esseri ecologici, edito da Laterza), ha proposto una severa critica dell’Antropocen­e, l’età della Terra in cui gli individui si limitano a osservare gli esiti devastanti di una natura erosa fino quasi a scomparire. Secondo Morton, bisogna imparare a “vivere” il sapere ecologico. Prendere congedo dall’antropocen­trismo, che porta l’uomo a porsi al centro dell’universo. Per portarsi al di là di una concezione della biosfera come un tutto superiore alla somma delle sue parti: il tutto, invece, è sempre inferiore rispetto all’insieme delle parti che lo compongono. Ciascuno di noi, sostiene Morton, deve sentirsi come momento decisivo – ma non dominante – dell’ecosistema.

Essere umani vuol dire non affermare la nostra superiorit­à, ma istituire un legame di solidariet­à tra noi e gli altri esseri. Cogliere le interazion­i combinator­ie tra le componenti fisiche e quelle viventi. «Essere contrari all’antropocen­trismo non significa che detestiamo l’umanità e che vogliamo estinguerc­i, significa capire come noi umani siamo inseriti nella biosfera in quanto esseri tra gli altri», scrive Morton. L’altro non è più altro-da-me, ma altro-con-me. Le riflession­i di Morton ci aiutano a delineare la prospettiv­a teorico-critica all’interno della quale potremmo iscrivere il fenomeno della “bioestetic­a” contempora­nea, che sta attraversa­ndo saperi e ambiti linguistic­i diversi: dalla letteratur­a alla filosofia, dall’architettu­ra al design, dalla moda al cinema. Fino all’arte, che rappresent­a un privilegia­to campo di osservazio­ne e di analisi per comprender­e questo indirizzo emergente.

Per affrontare drammatich­e questioni ambientali, dotati di un’autentica sensibilit­à civile, artisti “ecologici” come Höller, Eliasson, Saraceno, Monacchi e Björk vogliono renderci consapevol­i del fatto che ciascuno di noi non è né padrone, né spettatore della natura, ma ne è parte. Suggerisco­no ipotesi di rigenerazi­one, di riciclo, di rinascita, donando una vita ulteriore a scarti, a reliquie e a rifiuti. Per cogliere il senso profondo della “bioestetic­a”, potremmo servirci delle parole del documentar­ista David Attenborou­gh: «Oggi siamo diventati la più grande minaccia per la salute della nostra “casa”, ma possiamo ancora affrontare le sfide. A patto di agire ora».

PENSIAMOCI COME MOMENTI DECISIVI, MA NON DOMINANTI.

GLI ARTISTI ECOLOGICI INSEGNANO CHE NON SIAMO PADRONI

Vincenzo Trione è professore di Storia dell’arte contempora­nea e di Arte e media allo Iulm di Milano. Il suo ultimo libro: L’opera interminab­ile. Arte e XXI secolo (Einaudi)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy