Guy Debord, il preveggente
Nel paesino di Cosio d’Arroscia, gli abitanti, scarsini già allora, guardavano con sgomenta curiosità quel gruppo di pittori e intellettuali che si muovevano fra case di pietra, sottopassi a volta e stradine in salita. Lì, nella valle degli ulivi che da Albenga si arrampica verso la Francia, a due passi
da Pieve di Teco e dal confine, in una calda settimana di fine luglio 1957, Guy Debord e gli altri uscivano dalla casa del pittore Piero Simondo che li ospitava e sciamavano fra trattorie e cantine, bevevano il rosso del luogo, quel Cosiate che ora non si fa più ma che “se lo avevi in corpo ti veniva voglia di cambiare il mondo” come ricordano in paese.
Ignari, gli abitanti li guatavano di sottecchi con la tipica ligure prudenza, non sapevano che quel fosco e scontroso francese con i suoi amici stava fondando proprio là l’Internazionale situazionista, movimento di avanguardia artistica e politica, poco conosciuto perlopiù allora, ma che qualche anno dopo avrebbe ispirato in modo sotterraneo i pensieri più immaginativi del ’68 e dei tanti capi e capetti del Movimento giovanile. E che proprio Debord, quel ragazzo occhialuto e fantasioso, con la sua idea della Società dello spettacolo e con la voglia in corpo, appunto, di cambiare il mondo, avrebbe illuminato con onda lunga e potente la cultura e i gesti del secondo Novecento. Le sue idee piacevano perché conquistavano con la forza del pensiero e non delle armi.
Nato a Parigi ma di mamma italiana, Paulette Rossi, Debord aveva incrociato presto dadaismo, lettrismo e alcuni movimenti italiani legati alle avanguardie artistiche ad Alba e ad Albisola. Fra i cardini del suo pensiero, il gioco delle citazioni, la libertà di giocare con il pensiero precedente, saccheggiando e riprendendo prendere una frase dai classici e con la semplice sostituzione di una parola, creare uno spaesamento che illumina la realtà in modo nuovo, mettendo a nudo il suo evolversi e portando a galla inediti intrecci sotterranei.
Nella sua opera più compiuta, La società dello spettacolo, del 1967, giustamente saccheggiata dalla cultura che è venuta dopo di lui, Debord illustra il metodo partendo dal Capitale di Karl Marx: prende l’incipit, «Tutta la vita delle società moderne in cui predominano le condizioni attuali di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di merci», sostituisce la parola spettacoli a merci, e il gioco è fatto. Ed ecco spiegato, con pervasiva preveggenza, come la merce, divenuta ormai immagine, seduca gli individui con proposte di vita irrealizzabili, creando soggetti alienati, e come l’accumulazione di immagini in cui ci saremmo trovati immersi e sommersi funzionava come cifra interpretativa delle società mediatica e tecnologica che sarebbe venuta poi. Aldo Grasso nel suo libro Radio e televisione (editore Vita e pensiero) ha ricapitolato alcuni gesti di divertimento e inventiva situazionista della nostra comunità video-letteraria: da buona parte delle provocazioni tv di Angelo Gugliemi nella sua costruzione di Raitre, alle proposte Raidue di Carlo Freccero. «Se si vuole affrontare un discorso estetico sui linguaggi tv non si può fare a meno di confrontarsi con il détournement. Le idee televisive, forse, non migliorano, ma il plagio le rende più divertenti».
Nel 1972 l’Internazionale situazionista si sciolse minata da conflitti interni, mentre Debord lanciava invettive contro i Pro-situz, il situazionismo di maniera, per lui ormai urticante successo salottiero. Sempre più isolato e solitario, morì suicida, la notte del 30 novembre 1994, ritirato nel casolare in pietra di Champot, come ha raccontato il suo biografo principe Giorgio Amico in Guy Debord e la società spettacolare (Roberto Massari editore), rifiutando il telefono e altri asset contemporanei: gli servivano a poco per capire la realtà. Meglio il détournement!