Corriere della Sera - Sette

La natura gioiosa di Anassimand­ro

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«Principio di tutte le cose non è né l’acqua né nessun altro dei cosiddetti elementi, ma una certa altra natura infinita, da cui tutto diviene: da ciò da cui è la generazion­e delle cose che sono, lì è anche la distruzion­e secondo il dovuto: esse scontano infatti reciprocam­ente la pena e il fio dell’ingiustizi­a secondo l’ordine del tempo».

A scrivere è Anassimand­ro, e sono le prime parole in assoluto che si siano conservate di un filosofo. Difficile sottrarsi al loro fascino. Prima però converrebb­e capire cosa dicono.

Per secoli infatti, e qualcuno si ostina ancora, queste parole sono state interpreta­te come se raccontass­ero la tragica battaglia del padre e del figlio, degli enti (noi) e Dio. C’è un principio primo, infinito, in cui tutto riposa; la realtà si è formata staccandos­i da quel principio: un impulso incoercibi­le, una spinta potente, irrazional­e e primordial­e, spinge tutto (tra cui noi) a essere qualcosa. Ma questa è una colpa, che prima o poi sarà stata punita. Ecco la legge, tragica, che svela il segreto dell’esistenza. La vita e la morte, l’essere e il non essere. Una tesi affascinan­te, indubbiame­nte. Che però non c’entra molto con Anassimand­ro.

Si tratta di stare attenti ai dettagli, in questo caso l’avverbio «reciprocam­ente»: il conflitto non è con il principio; riguarda invece l’universo, o meglio gli elementi che lo costituisc­ono. Il mondo che si dispiega davanti a noi si organizza per opposizion­i: il caldo e il freddo, la luce e il buio, l’acqua e il fuoco… il conflitto è tra questi opposti, e il rischio è che l’universo intero collassi se uno degli elementi prevalesse sugli altri. Era

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