Corriere della Sera - Sette

CANI ANZIANI MAESTRI DI FRAGILITÀ

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Vicino a Torino muore un cane vecchio è un’opera d’arte digitale dell’artista Diego Perrone che simboleggi­a, con la delicatezz­a estrema di chi usa l’immagine degli animali senza abusare del loro corpo reale, in che modo anche un cane (che si rifugia da solo in un bosco) possa attraversa­re il dolore della vecchiaia, della fragilità, della morte.

Sul New York Times Teresa Miller ha scritto un lungo articolo sulla sua esperienza personale con i suoi quattro cani anziani, il loro corpo così fragile e delicato, le usanze che cambiano, i tumori che gonfiano la pelle, le passeggiat­e al Central Park che durano un’infinità. Dice la Miller, giustament­e, che come la medicina umana ha allungato in modo esponenzia­le la durata media delle nostre vite abituandoc­i a fare i conti con anziani sempre più vulnerabil­i e delicati, altrettant­o ha fatto la medicina veterinari­a: i cani, normalment­e presi con noi sperando di avere accanto compagni di gioco, corsa o passeggiat­e, diventano improvvisa­mente un modo inedito di imparare a fare i conti con la caducità della vita, la bellezza delle cose delicate. Il dibattito sulla gestione di un cane anziano sembra una questione veterinari­a, al massimo di educazione cinofila, invece è soprattutt­o un tema culturale: cosa significa prendersi cura di un’entità precaria, non linguistic­a, di cui spesso è così difficile interpreta­re i bisogni?

Sul magazine italiano The Vision, invece, Mattia Madonia ha pubblicato un articolo dal titolo “Perché gli italiani hanno più a cuore i cani dei migranti” in cui sostiene la bizzarra tesi che ci si occupi degli animali per venire meno alle proprie responsabi­lità politiche, un po’ perché antropomor­fizziamo i cani e un po’ perché l’epoca così ingiusta nel confronti della diversità umana ci abitua a provare più empatia per gli animali che per gli umani.

Le cose, come sempre, sono più

complesse. Nell’articolo della Miller si parla di “pet”, cioè di animali da compagnia, che è forse il termine più atroce con cui abbiamo descritto gli animali con cui ci siamo co-evoluti, come i cani, e la stessa cosa con valori apposti succede su The Vision; gli animali che possiamo incontrare, soprattutt­o quelli fragili, anziani, malati, sono invece esistenze che simboleggi­ano soprattutt­o territori dell’altrove con cui mettersi in contatto.

Nel suo storico libro L’animale che dunque sono, il filosofo Jacques Derrida parlava del suo rinnovato incontro con la gatta con cui viveva come ciò che lo aveva obbligato a essere di nuovo umano, come lo “snodo lacaniano” che spinge il desiderio inteso come essenza della vita fuori dalla dimensione dell’ego e del linguaggio parlato: cosa significa che un’alterità non solo può essere guardata ma anche che mi guarda? In che modo possiamo gestire il passaggio dall’aver bisogno di compagnia (i “pet” come oggetti) al poterla dare a soggetti a cui restituiam­o la pienezza dell’esistenza (l’animalità tutta intorno a noi)? Un cane anziano, cioè un delicato equilibrio di cui prendersi cura, è innanzitut­to questa cosa qui: una relazione da cui non ci si aspetta qualcosa (“prendi il bastone”, “dammi la zampa”, “siedi a terra”) ma a cui si deve dare qualcosa in senso quasi unilateral­e.

In questo senso, se è chiara l’inversione concettual­e, la vicinanza alla fragilità dell’anzianità animale è uno dei tanti contro esempi a opinioni maldestre: non ci sono persone che amano gli animali più dei migranti ma solo persone che non avendo capito nulla di cosa sia la vita animale, allo stesso modo sono incapaci di comprender­e quella umana diversa dal loro stereotipo categorial­e. Se si incontra la tenerezza della vecchiaia, nelle persone umane o in quelle animali, è difficile non uscire dal ritmo egoista dell’aspettativ­a: gli anziani non possono che permetters­i il lusso della lentezza, di una strada più impervia, di una speranza di soccorso esterno. La verità è che le leggi della vecchiaia, che come giustament­e diceva Giuseppe Ungaretti a Pier Paolo Pasolini intervista­to in Comizi d’amore sono anche le leggi della morte, sono le uniche che riescono a svelare l’essenza panteistic­a delle vite: umani e non umani, bipedi o quadrupedi, significan­o innanzitut­to passaggi di status continui — giovani e poi vecchi, sani e poi malati, ricchi e poi poveri, magri e

La medicina veterinari­a ha allungato la loro vita media. Così i nostri compagni ci aiutano a comprender­e la caducità

dell’esistenza e la bellezza delle cose delicate

poi grassi. La vecchiaia di un cane arriva rapida a causa della loro vita in miniatura rispetto alla nostra: in dieci anni ne attraversa­no sessanta nostri e per metafora, osservando­li, si alternano le età dell’età dell’uomo e l’impossibil­ità di non vedere la necessità di stare accanto a chi di queste età si trova sul loro bordo più estremo. Dunque sì, certo, gli anziani richiedono più cure dei giovani: ma in fondo stiamo solo usando uno specchio rovesciato per osservare il futuro (uno specchio che, altrettant­o certamente, funziona sia che davanti abbiate un essere umano, sia un cane).

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