«QUANDO MIO PAPÀ PAUL NEWMAN DICEVA: CI VUOLE UN VILLAGGIO, E POI UN ALTRO»
Prima dell’intervista arriva la raccomandazione di non chiedere nulla di particolare sul padre, ma bastano pochi secondi insieme a Clea Newman per capire che Paul, la sua passione, il suo impegno filantropico sono al centro del lavoro di una donna che nei modi ricorda il calore, l’informalità, la voglia di fare e soprattutto la dedizione agli altri del papà attore. Apre la porta in jeans e maglietta. È scalza. Le unghie di mani e piedi sono dipinte di blu. Gli occhi brillano dello stesso azzurro.
È a Londra per la serata a scopo benefico di SeriousFun Network, l’organizzazione fondata da Paul Newman che a bambini malati offre la possibilità di ritrovare, per un periodo, la gioia spensierata di una capanna di legno, di un lago da attraversare in canoa, di un albero da scalare. Il tutto gratis e con la migliore assistenza medica. È un progetto che in trent’anni ha toccato la vita di più di un milione di bambini (e dei loro familiari), tanti anche in Italia grazie alla collaborazione con Dynamo Camp, a Limestre, nei pressi di Pistoia. «Mio padre, quando aveva un’idea, era come un jack russell con un osso», racconta Clea. Non mollava. Una generosità tenace che anima anche lei, tanto che le si inumidiscono gli occhi al pensiero di un bambino che lascia la sedia a rotelle per lanciarsi con la teleferica. «Guardi e il cuore ti scoppia di felicità». «Mi viene chiesto a volte se non mi intristisco a stare a contatto con bambini affetti da gravi malattie. In realtà questi campivacanza sono i posti più allegri al mondo. I nostri ospiti arrivano da situazioni diverse. Tanti hanno passato parecchio tempo in ospedale e convissuto con mille divieti. Da noi c’è sempre solo una risposta: sì. Se vogliono fare qualcosa, troviamo il modo di renderlo possibile. È il nostro lavoro».
Paul Newman credeva nell’infanzia come periodo fondamentale di formazione, ricorda Clea. «Per tanti versi era come un bambino un po’ cresciuto»: per il progetto giusto partiva in quinta, con entusiasmo coinvolgente. Quando andò a trovare la figlia di un amico in ospedale e vide come vive un bimbo malato,
si rimboccò le maniche. «Diciotto mesi. Ecco quanto ci mise a creare il primo villaggio», sottolinea Clea con ammirazione. «Dall’acquisto di un terreno dove mancava anche la strada d’accesso, al prodotto finale. Un lavoro enorme portato a termine in un anno e mezzo, un arco di tempo in cui è difficile anche farsi rifare una cucina. Alla fine della prima stagione c’era la lista d’attesa. Per mio padre fu una tortura. Come si fa, mi chiedeva, a dire di no?».
Dalle parole di Clea Newman emerge il ritratto di un uomo convinto, per il quale il lavoro di attore e il successo erano importanti anche come tramite per fare altro, così come l’immagine di un papà che al fianco della moglie Joanne Woodward seppe essere affettuoso, divertente, presente, saggio.
«Da ragazza volevo fare l’avvocato. I miei non mi dissero nulla, mi fecero fare le mie scelte. Quando aprì il primo villaggio mi incoraggiarono ad andare come volontaria. Arrivai privilegiata e un po’ viziata e ripartii umile. Compresi la gioia che si prova a fare qualcosa che ti collega attraverso esperienze comuni ad altri esseri umani. È stato un momento importante, perché questi programmi fanno bene ai nostri ospiti, ma fanno altrettanto bene a chi ci lavora. Spesso parlo con medici che mi dicono di aver cambiato il modo in cui trattano i pazienti dopo un periodo da noi. Non intervengono più solo sulla malattia, si prendono cura dei bambini in modo più olistico».
Il concetto di comunità è al centro del progetto dei Newman. «Papà diceva sempre che i villaggi non avrebbero avuto successo se non fossero riusciti a coinvolgere la gente che avevano attorno». Dynamo Camp è l’esempio perfetto, precisa. «C’è un’ottima sinergia con la popolazione. Fanno cose straordinarie». L’obiettivo per SeriousFun, adesso, è sviluppare il programma in Africa, India e alcune zone caraibiche, dove le attività sono mirate soprattutto a bimbi affetti da Hiv. «Abbiamo aggiunto un elemento di istruzione sanitaria in cui cerchiamo di spiegare l’importanza dei medicinali per rimanere sani il più a lungo possibile».
Pensando al coinvolgimento della comunità, Clea parla con entusiasmo dell’iniziativa di Zanellato, che per Dynamo ha realizzato 10 borse Postina riutilizzando scarti di pellame e una fodera disegnata da un gruppo di bambini. «Partner così ci aiutano a portare il nostro messaggio a gente che ancora non ci conosce. So», conclude con un sorriso, «che mio padre ci guarda ed è contento del nostro lavoro».