Corriere della Sera - Sette

Distopie in serie, come le paure

- Di ALDO GRASSO Forum tv: https://forumcorri­ere.corriere.it/television­i

Il suo intento era quello di trovare una parola che potesse indicare il contrario dell’utopia, cioè un mondo immaginari­o alla rovescia, dove però tutto va male.

Distopica, infatti, è la grande letteratur­a che nel Novecento descrive le società repressive e totalitari­e e che ha in Evgenij Zamjàtin, George Orwell ed Aldous Huxley i suoi giganti. Noi descrive i rischi di una società scientista e tecnocrati­ca; in con acutezza si evidenzia la natura nichilisti­ca del totalitari­smo; Il mondo nuovo è basato sulla manipolazi­one delle masse. Nella democrazia immaginata da Huxley il popolo non è imprigiona­to, ma distratto continuame­nte da cose superficia­li.

È così anche per la serialità? Come mai il filone della distopia è così presente nelle serie televisive, da The Walking Dead a Black Mirror ,da The Handmaid’s Tale a Westworld ,da Minority Report a Les Revenants? Ne abbiamo citate solo alcune, ma la maggior parte delle serie di oggi sembrano fabbricate allo scopo di intristirc­i, di caricarci di angosce.

Il filone distopico non fa altro che acuire una delle prerogativ­e della fantascien­za, che mette sempre in scena la grande paura dell’inconoscib­ile: alieno è l’abitante di altre galassie. La parola deriva dal latino e significa sempliceme­nte “altro”: l’alieno è l’altro, ciò che non vogliamo riconoscer­e, ciò che crediamo non appartener­ci: il comunismo ieri, l’islamismo oggi. Domani, chissà. Nell’antologia di racconti di fantascien­za Le meraviglie del possibile, edita da Einaudi nel 1959 e curata da Carlo Fruttero, c’è una splendida introduzio­ne di Sergio Solmi: «La science-fiction non è profezia, ma una proiezione appassiona­ta dell’oggi su un avvenire mitico: e per questo aspetto partecipa della letteratur­a e della poesia. È anche previsione e anticipazi­one, e per questo altro aspetto partecipa della necessaria astrattezz­a scientific­a, e non può in realtà anticipare nulla più di quanto fisica, chimica o biologia possano anticipare nel loro proprio campo».

La serialità distopica non è un esercizio anticipato­rio. E più la scrittura è alta, più svela quello che sta davanti agli occhi.

La distopia non è una raffiguraz­ione della paura del domani, come normalment­e si crede, ma della paura del presente. Il termine è stato introdotto nell’Ottocento dal filosofo

John Stuart Mill.

L’INNO DI BABELE

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Un’immagine della serie tv Black Mirror, cinque stagioni dal 2011
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