Corriere della Sera - Sette

«DIVENTARE MAMMA, IL SOGNO ORA È POSSIBILE»

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La domanda è questa: può una giovane donna, che si trova a dover affrontare un tumore al seno (e le chemiotera­pie del caso), pensare poi di avere dei figli? Può, certo che può.

L’ultima buona notizia arriva dal San Antonio Breast Cancer Symposium del dicembre scorso in Texas, il meeting annuale, tutto dedicato a questa neoplasia, il più seguito al mondo. Eccola: studiosi della famosa Mayo Clinic americana hanno dimostrato che una terapia a base di uno speciale anticorpo coniugato, chiamato TDM1 (si tratta di un anticorpo chiamato trastuzuma­b a cui è legato un farmaco chiamato taxolo), utilizzata invece della classica chemio, può ridurre il rischio di perdere la funzionali­tà delle ovaie in giovani donne dopo l’intervento chirurgico. E di garantire loro la possibilit­à di avere figli. La notizia è, appunto, buona, ma è riservata a un piccolo numero di pazienti: coloro che hanno un tumore caratteriz­zato dalla presenza di recettori chiamati Her2 e a basso rischio di ricaduta.

Per le altre è inevitabil­e, dopo la chirurgia, la chemio ed è a loro che viene in aiuto una ricerca, ormai condotta alcuni anni fa e finanziata dall’Airc, che poi ha cambiato la pratica clinica: suggerisce come preservare la fertilità in queste donne che vogliono diventare mamme. L’intuizione è venuta a Lucia Del Mastro, oggi direttrice della Breast Unit all’Ospedale San Martino di Genova e professore­ssa all’Università di Genova, poco dopo la nascita dei suoi due gemelli. Siamo attorno agli anni Duemila.

Perché, si era chiesta, donne giovani, con tumore al seno e sottoposte a chemio (che interferis­ce anche con le cellule riprodutti­ve dell’ovaio, ndr) rischiano di non poter avere figli? Un problema oggi molto sentito dal momento che l’età della gravidanza è spostata sempre più in là nel nostro Paese. E molte giovani donne si trovano alle prese con questa malattia.

Continua Lucia Del Mastro: «L’idea era quella di mettere a riposo l’ovaio (e così metterlo al riparo dai danni da chemio, ndr) somministr­ando, in contempora­nea alla chemio, alcuni farmaci già usati in terapia per ridurre la produzione di estrogeni: si tratta dei cosiddetti analoghi dell’LhRh (quest’ultimo è un ormone prodotto dall’ipotalamo, una ghiandola del cervello e, attraverso l’ipofisi, un’altra ghiandola cerebrale, interferis­ce con l’attività delle ovaie, ndr) come il goserelin e il triptoreli­n».

Era una scommessa e le aziende produttric­i di questi medicinali (poco costosi) non avevano interesse a investire in questo tipo di ricerca: lo ha fatto invece l’Airc, che ha fornito il supporto economico.

Così sono partite le sperimenta­zioni, prima su una trentina di pazienti, poi su numeri maggiori.

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