DAZI E GUERRE COMMERCIALI CHI È L’AVVOCATO CHE BLOCCA LA GLOBALIZZAZIONE
La bestia nera della Cina e, ormai, anche dell’Europa che commercia ed esporta, è un avvocato di 72 anni apparentemente placido e affabile: un ragazzo dell’Ohio che ha studiato legge nell’università dei gesuiti, la Georgetown di Washington. Fin dagli anni Ottanta – allora lavorava nella Casa Bianca di Ronald Reagan – Robert Lighthizer è convinto che molti Paesi del mondo – e soprattutto la Cina – si siano approfittati della generosità dell’America e dei suoi mercati aperti.
Così, da rappresentante commerciale del governo Usa, ha trasformato quello che sembrava solo uno slogan elettorale di Donald Trump – America First – in una strategia efficace: una raffica di iniziative – dalla denuncia del patto Nafta con Messico e Canada alla guerra commerciale con la Cina ai dazi imposti all’Europa e anche al Brasile, fino al depotenziamento del Wto, l’organizzazione mondiale del commercio – che non solo hanno inciso in modo sostanziale negli scambi internazionali di merci e servizi, ma hanno, di fatto, bloccato la globalizzazione.
Ricordate? Pensavamo di vivere – entusiasti o rassegnati – nel «mondo piatto», senza più barriere raccontato da Tom Friedman in un celebre saggio. Trionfava l’«uomo di Davos»: i manager che ogni anno si danno appuntamento sulle Alpi svizzere per discutere di come organizzare la nuova economia planetaria e – bontà loro – anche di come ridurre le crescenti disuguaglianze economiche prodotte dalla globalizzazione, soprattutto all’interno del mondo industrializzato.
È storia di meno di cinque anni fa. Poi è arrivato il ciclone Trump che ha usato la forza del mercato interno americano, il più vasto e ricco del mondo, come una clava.
Quello del ritorno al protezionismo sembrava un piano velleitario e anacronistico, destinato a sicuro fallimento, non solo perché osteggiato con pari durezza da Europa e Asia, ma anche perché il free trade era la religione liberista dei repubblicani, il partito del presidente. Il mondo guardava con scetticismo alle sparate di un presidente che minacciava quotidianamente guerre commerciali dichiarando di poterle vincere facilmente e rapidamente.
Trump, però, ha trovato le persone giuste per dare consistenza alla sua controrivoluzione protezionista: Lighthizer, l’oscuro avvocato del quale si sapeva solo che per 30 anni aveva difeso con tenacia le industrie americane da quella che considerava concorrenza sleale di produttori stranieri. E, poi, Peter Navarro, un consigliere di estrazione universitaria senza esperienze aziendali o di governo, rivelatosi, da consigliere del presidente, un vero pasdaran del protezionismo oltre che un nemico giurato della Cina, da lui descritta come un pericolo mortale anche nei vari libri che ha pubblicato, a partire da Death By China.
Trump ha seguito ed esaltato Navarro per due anni, ma ora l’ha messo in naftalina decidendo di firmare
STATI UNITI
un accordo commerciale parziale con Pechino che il suo consigliere giudica inadeguato. Lighthizer, invece, è inarrestabile: siglata l’intesa con Messico e Canada, definita quella con la Cina, minaccia ora di scatenare una nuova offensiva contro l’Europa. La contestazione della web tax prevista da Francia, Italia e altri Paesi è solo un pretesto. Lo ammette implicitamente lui stesso quando dice che i 180 miliardi di dollari di attivo commerciale che la Ue vanta nei confronti degli Usa sono troppi e vanno ridotti.
Insomma, con Lighthizer l’America congela il Wto, il multilateralismo e la globalizzazione preferendo giocare tutto sui rapporti bilaterali nei quali sente di avere il coltello dalla parte del manico. Impone dazi alla Cina, poi scopre che a beneficiarne non sono le aziende Usa ma quelle europee (e di altri Paesi asiatici come il Vietnam). Allora allenta la presa su Pechino e torna a prendersela con l’Europa.
Lighthizer può farlo perché, detestato all’estero, in America gode di grandi consensi, anche “trasversali”. Difendendo per decenni le industrie Usa, a cominciare da quelle dell’acciaio e dell’auto, è diventato un protettore dei posti di lavoro americani. Richard Trumka, il capo dell’Afl-Cio, il maggiore sindacato americano, lo definisce «un uomo d’onore col quale ho lavorato bene per trent’anni» ma l’avvocato dell’Ohio gode di ottima fama anche in Congresso: il Senato ratificò la sua nomina da parte di Trump a US Trade Representative con un voto quasi plebiscitario: 82 a 14.
Tre giorni dopo Lighthizer partì all’offensiva annunciando la denuncia da parte americana del Nafta: era la prima volta che l’America rimetteva in discussione un patto commerciale. Poi l’offensiva contro la Cina, i dazi su acciaio e alluminio, la rinegoziazione degli accordi col Giappone e la Corea del Sud, le penalizzazioni imposte anche agli alleati europei e al Brasile dell’ “amico” Bolsonaro. Inizialmente contrastato dai liberisti – come l’ex banchiere Gary Cohn – che affiancavano Trump alla Casa Bianca, Lighthizer ha avuto ben presto mano libera, riuscendo in una specie di miracolo politico: è sopravvissuto a tutte le epurazioni, unico funzionario di alto livello (a parte i membri della famiglia Trump) ad essere sempre rimasto a fianco del presidente, fin dal primo giorno. E, pur mantenendo un ottimo rapporto con lui, si è guadagnato la stima dei democratici che, infatti, 24 ore dopo aver votato contro Trump per l’impeachment si sono espressi a favore del suo nuovo patto con Messico e Canada: l’unico successo politico del presidente in una stagione molto tormentata.
Criticato ormai solo dai conservatori liberisti e dal Wall Street Journal, Lighthizer ha neutralizzato gli attacchi ricordando che l’icona della destra, Ronald Reagan, a suo tempo difese i lavoratori americani «limitando le importazioni di acciaio, auto e semiconduttori e proteggendo l’Harley Davidson dalla concorrenza delle moto giapponesi».
Le feste di Natale le ha passate preparando nuove battaglie: da una resa dei conti con l’Europa che rischia un aumento e un’estensione dei dazi imposti in autunno (quelli che hanno colpito, nel caso dell’Italia, formaggi, salumi e liquori) e lo smantellamento del WTO (già semiparalizzato bloccando gli organi chiamati a risolvere le controversie) considerato un luogo nel quale cinesi ed europei fanno accordi ai danni degli Usa. In apparenza dimesso, in realtà negoziatore implacabile, con una volontà d’acciaio, Lighthizer è molto diverso da Trump: «Non amo gli atteggiamenti teatrali, cerco di persuadere, trovare il punto su cui fare leva». E, quando lo trova, impone la sua «gestione politica del commercio»: giudizio dei conservatori del Wall Street Journal.