Kierkegaard, l’angoscia di poter essere liberi
La filosofia, scriveva Hegel, «non ha altra intenzione che sopprimere l’accidentale». È un obiettivo ambizioso, mostrare la trama che tiene tutto insieme, l’ordine necessario che si cela dietro il disordine apparente. Rivelare che le cose dovevano andare come sono andate, che la realtà
non può essere diversamente, perché anche se a noi sfugge c’è un senso in quello che accade, in tutto quello che accade. Ma davvero la vita, o meglio le vite degli uomini, possono essere ridotte in un’unica direzione? Non rischia di diventare astratto, troppo astratto, un pensiero che va in cerca soltanto di costanti e leggi universali?
La vita degli uomini è fatta anche di contraddizioni e sarebbe ingenuo sperare di risolverle tutte. Nella realtà concreta, gli opposti non si lasciano mediare, superare o sintetizzare in un’unità di senso superiore. Si parla sempre di grandi concetti, come l’umanità. Ma non esiste l’Uomo, esistono gli uomini, i singoli individui, scrive Kierkegaard, il grande avversario di Hegel, con le loro esistenze caotiche, sempre diverse, assurde talvolta, e prive di una logica precostituita. La nostra esistenza rimane «accidentale»: è «insopprimibile» e imprevedibile, non può essere spiegata con categorie tanto generali quanto generiche, perché non segue schemi fissi. Detto in una parola, siamo liberi e questo cambia tutto. È nella natura del leone inseguire il cervo, e in quella del cervo fuggire. Quello che ciascuno di noi è, invece, dipenderà da quello che farà della sua vita. Nell’uomo l’esistenza viene prima dell’essenza: noi non siamo, esistiamo;
Kierkegaard è stato il primo «esistenzialista», ben prima di Sartre o Heidegger.
Ma è qui che iniziano i problemi. Perché questa libertà, apparentemente entusiasmante, si rivela un problema: turba e paralizza l’uomo che si scopre solo davanti alle sue possibilità. La libertà porta con sé insicurezza, genera angoscia, che è cosa ben diversa dalla paura: non dipende da qualcosa di definito o preciso, ma dall’incertezza che nasce di fronte alla vertigine della possibilità, alla consapevolezza di dover scegliere e non sapere cosa. «Nella possibilità tutto è ugualmente possibile». È una condizione che riguarda tutti: «Come il medico può certamente dire che forse non esiste un solo uomo che sia completamente sano, così non vive un solo uomo il quale non sia un po’ disperato, che non porti in sé un’inquietudine, un turbamento, una disarmonia, un’angoscia di qualche cosa che egli ancora non conosce o che non osa ancora conoscere, un’angoscia di una possibilità dell’esistenza o un’angoscia di se stesso». Non è molto rassicurante, è vero. Ma è una descrizione efficace della nostra condizione attuale, sommersi dalle possibilità, con tutto a portata di mano, eppure sempre più incerti.
E la domanda rimane sempre la stessa: che fare allora? Di noi, delle nostre vite? Difficile rispondere e la proposta di Kierkegaard, il salto nella fede, difficilmente soddisferà tutti. Ma rimane il fatto che la soluzione, se una soluzione c’è, potrà essere trovata solo vivendo, rinunciando alle ingannevoli certezze di chi ha sempre una risposta pronta per tutto o al facile conformismo di chi segue le opinioni della massa per paura di rimanere solo. Non bisogna mai dimenticare «che cosa significhi non già l’uomo in genere, ma il fatto che tu, io, egli, noi, ciascuno per sé, siamo uomini».