Corriere della Sera - Sette

Orfeo e la lezione di Rilke: cantare è esistere

- Di LUCA MASTRANTON­IO lmastranto­nio@rcs.it

Una fedele lettrice di questo umile ufficio, Margherita Smeraldi, chiede di recuperare i sonetti di Rilke per Orfeo. Ha per le mani un’edizione del 1943 di Sansoni, dove le liriche del poeta boemo sono tradotte da Vincenzo Errante. Le rispondo con la traduzione di Giaime Pintor in cui mi sono imbattuto: Poesie e prose di Rainer Maria Rilke, Einaudi, del 1983. Di Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Les Planches, 29 dicembre 1926) son note le Elegie duinesi ele Lettere a un giovane poeta, testo che è ancora vibrante di ispirazion­e per chiunque voglia scrivere poesie, seguire la propria vocazione. Anzi no, nessuna vocazione. Deve esserci un’urgenza, dice Rilke, una necessità esistenzia­le che si traduce in un lavoro di scavo profondo, un mettersi a nudo nel mondo, pronti a sacrificar­e tutto. Perché, come scrive nel sonetto I,3 a Orfeo:

«Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come /potrà seguirlo sulla lira impari? / Discorde è il senso. Apollo non ha altari /all’incrociars­i di due vie del cuore. // Il canto che tu insegni non è brama, /non è speranza che conduci a segno. / Cantare è per te esistere. Un impegno /facile al dio. Ma noi, noi quando siamo? // Quando astri e terra il nostro essere tocca? O giovane, non basta, se la bocca / anche ti trema di parole, ardire // nell’impeto d’amore. Ecco, si è spento. /In verità cantare è altro respiro. / È un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento».

UFFICIO POESIE SMARRITE

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