Corsi obbligatori di educazione civica per i politici di oggi
Cara Lilli, per guidare un autoveicolo si deve fare un esame e a chi invece concorre per occupare una posizione di potere basta essere presentato da un’associazione che si forma su base volontaristica? Ci sono agenzie che si occupano di formare nuovi patentati: perché non ci dovrebbe essere qualcosa di equivalente che selezioni aspiranti politici?
Antonio Brenna redhair.1971@alice.it
CARO ANTONIO, l’elettorato passivo è un diritto universale connaturato all’idea stessa di democrazia che non può essere limitato da patenti di accesso.
Ma il problema che lei solleva esiste, anche perché la funzione formativa e pedagogica dei partiti è venuta meno nel corso degli anni, senza che nulla la sostituisse.
Senza un’adeguata selezione della classe dirigente ci ritroviamo così ad avere a che fare con governanti, legislatori e amministratori spesso improvvisati e scelti più per cooptazione che per specifiche competenze. Un antidoto potrebbe essere, dopo l’eventuale elezione, l’obbligo di frequentare un corso di educazione civica e funzionamento delle istituzioni e degli organi dello Stato. In attesa che lo insegni la nostra scuola per tutti i futuri cittadini ed elettori.
Cara Lilli, ho letto commenti che definivano la signora Markle «un esempio di femminismo» per aver lasciato la Casa Reale. È così?
Federica Cappelli
CARA FEDERICA, per la verità non sto seguendo la saga della Famiglia Reale con molta attenzione. Ammetto che può essere una fiction avvincente, ma la mia curiosità non va tanto oltre. Non saprei dunque dirle se la decisione di Meghan la qualifichi come una vera femminista. Aveva una vita prima di sposare Harry e immagino che qualche volta la rimpianga. O forse vuole un po’ entrambe le cose: l’attenzione, la fama e i soldi di cui godrà comunque per il solo fatto di essere sposata con un principe, e in più la libertà di fare ciò che vuole senza dover chiedere il permesso alla Regina. Potrebbe anche voler vivere con suo marito e il loro bambino Archie lontano dall’attenzione dei media. Capisco l’interesse dei britannici per la Royal Family: è una vera e propria epopea che va avanti da secoli. E la stampa britannica ha nutrito la curiosità dei sudditi con dettagli intimi della vita personale di ciascun reale, dai più morbosi ai più osceni. Si tratta di un vero e proprio patto: riempiono le pagine dei giornali e monopolizzano le discussioni a tavola, e nessuno si chiede se non siano diventati semplicemente anacronistici, una struttura ricchissima di storia e tradizioni ma ormai inutile e costosa.
C’è in ogni caso un legame profondo con casa Windsor e con la regina Elisabetta, amata e rispettata anche per il basso profilo che ha tenuto in tutti questi decenni di scandali e turbolenze. Ma ultimamente, soprattutto dopo le sconcezze sessuali del principe Andrew, si potrebbe pensare che gli aspetti negativi battano quelli positivi. Che Meghan voglia allontanarsi da tutto questo è comprensibile. Quando si finisce prigionieri della propria immagine, il gioco diventa insostenibile.
O forse Meghan sta semplicemente imprimendo con astuzia una nuova svolta elettrizzante alla trama dei Windsor in un momento in cui serviva un po’ di linfa nuova. «Megxit» potrebbe quindi essere solo un’altra acrobazia pubblicitaria? Chissà. Ma noi, perché ce ne dovremmo preoccupare?