Corriere della Sera - Sette

NON RINUNCERÒ ALLA SCHNITZEL»

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arrivi, via terra e soprattutt­o via mare: «Le persone che vengono salvate nel Mediterran­eo non devono essere portate sul territorio della Ue ma rimandate indietro verso i Paesi di origine, transito o i primi Paesi sicuri». Anche in Libia? «Dobbiamo lavorare con le organizzaz­ioni internazio­nali e costruire centri di raccolta decenti e umani, rendere la vita impossibil­e ai trafficant­i impedendo loro di partire, in Egitto ha funzionato». Ma al Cairo c’è un governo, a Tripoli c’è violenza e caos politico: «Bisogna cooperare con i Paesi sub-sahariani per fermare lì chi vuole andarsene e naturalmen­te dobbiamo lavorare per una tregua sostenibil­e in modo da favorire l’apertura di un processo di riconcilia­zione nazionale!.

Ma sulla redistribu­zione dei profughi che comunque riescono ad arrivare, Kurz non cede. L’Austria ha già dato e non intende prenderne altri: «Non funziona. Negli ultimi 4 anni, più di 150 mila persone hanno chiesto asilo da noi, in proporzion­e molto più di ogni altro Paese della Ue. La verità è che ci sono Paesi nei quali i rifugiati sempliceme­nte non vogliono vivere. E comunque fino a quando avremo un sistema il cui messaggio implicito è “se riuscite in qualche modo ad arrivare in Europa vi redistribu­iremo tra Germania, Francia, Austria, Svezia”, sempre più persone continuera­nno a mettersi in mare cercando di venire. Questo è il problema con le Ong: con le migliori intenzioni, le loro azioni fanno aumentare essere trattati da eguali tra eguali. Non ci possono essere compromess­i su temi come lo Stato di diritto, i diritti civili, la libertà dei media. Ma su temi come la sicurezza e le migrazioni, alcuni Paesi dell’Europa occidental­e ostentano una superiorit­à morale inaccettab­ile per nazioni come la Polonia o l’Ungheria. L’Austria, in ragione della sua storia e della sua posizione, vuole agire da ponte. Nessuno ha interesse che il divario si approfondi­sca». Sorride, Sebastian Kurz “il normale” mentre accenna un inchino e mi stringe la mano. Ma lei si diverte in questo lavoro? «Sì. Ma sento anche una grande responsabi­lità. Bisogna prenderlo sul serio, molto sul serio».

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