Giacomo Scotti, il poeta dei due golfi
la mia scrivania alla Voce del Popolo. Nelle prime righe c’era scritto qualcosa come «Fiume, che dopo essere stata austriaca, ungherese, italiana oggi è croata…». «Come osi? Rijeka è sempre stata jugoslava!» urlò il poliziotto dell’Udba, i servizi titini. Mi buttarono in galera. Ci restai venti giorni. Senza mai dormire… Quando mi scarcerarono ero finito. Mi buttarono fuori dal giornale. E fui costretto a lavorare ai cantieri. Come portuale».
Tanti decenni dopo lo scrittore, storico, giornalista e poeta Giacomo Scotti, detto Mino, ha fatto pace con tutti. E assapora l’attesa di girare per Fiume, la «sua» Fiume, la seconda patria che si scelse nel ’47, quando non aveva ancora vent’anni e di fermarsi a leggere le nuove targhe (in arrivo) delle strade. Targhe dove torneranno, per ora in trentuno casi, i vecchi nomi delle vie e delle piazze degli anni italiani: calle Ca’ d’Oro, contrada San Vito, calle del Volto, via Lodovico Ariosto, piazzetta del Latte, calle dei Rettori, piazza delle Erbe, via Nicolò Tommaseo.
Un piccolo grande passo verso il riconoscimento di due diverse identità. Quella italiana e quella slava. Anzi, come scriveva Giacomo Scotti in quell’articolo di tanti anni fa, andrebbero aggiunti i contributi culturali e linguistici austriaci, ungheresi e via così. Esattamente come sono le nuove targhe delle strade, in onore di «Fiume capitale europea della cultura 2020».
Una svolta straordinaria. Basti ricordare che dopo la guerra civile jugoslava una delle prime giunte comunali di Fiume/Rijeka rifiutò di riconoscere gli italiani come autoctoni. «Per essere autoctoni bisogna risiedere duemila anni in un territorio. Quindi se sappiamo che gli italiani sono arrivati in Istria dalla Carnia insediati da Venezia nel XV secolo, a seguito delle grandi epidemie di peste, si pone il problema della loro autoctonia», dichiarò allora il ministro della cultura croato Vesna Girardi Jurkic. Ma come: l’antica Tarsatica romana? E le mappe del tredicesimo secolo col nome di Fiume? E i documenti come la tassa sul pesce del 1337 scritta in lingua istroveneta?
È cambiato tutto, per fortuna. E anche se quest’idea di ricordare i secolari strati della toponomastica fiumana urta con quell’altra di rimettere in cima al Grattacielo la vecchia Stella Rossa da molti ricordata come un incubo (sulla questione il dibattito è aperto), Giacomo Scotti vivrà il ritorno di certe targhe stradali con emozione. Nato a Saviano, vicino a Nola («E come potrei non ricordare le processioni dei Gigli?»), orfano di madre a due anni, orfano di padre a dodici, due fratelli più grandi morti in guerra, il poeta napoletanfiumano, autore di circa un centinaio di libri in italiano e
«L’articolo che fu la mia disgrazia non venne manco pubblicato. Me l’aveva chiesto, per il suo giornale, un cronista de il Giorno venuto una volta a fare un reportage su Fiume. L’avevo scritto e lasciato nel cassetto per rileggerlo prima di dettarlo. Ed era ancora lì, nel cassetto, quando la polizia jugoslava (in tutte le aziende, le scuole, le fabbriche c’era sempre una spia dei servizi segreti) venne a perquisire
«MI BUTTARONO IN GALERA, CI RESTAI VENTI GIORNI SENZA MAI DORMIRE. QUANDO MI SCARCERARONO ERO FINITO»