CLAUDIO MARTELLI
la a che fare con la storia del PSI, del PCI o della DC. E poi Beppe Sala. È bravo».
Nel Pd milanese c’è anche la sua compagna, la deputata Lia Quartapelle. Avete quasi quarant’anni di differenza.
«Eheh, che ci posso fare? Succede, quando uno ne ha settantasei come me».
Come e quando vi siete conosciuti?
«Un paio di anni fa, a Milano, alla presentazione di Revolution il libro autobiografico di Emmanuel Macron».
È vero che le è capitato di darle una mano nella stesura di un discorso parlamentare sui migranti?
«È una balla. Un falso. Non ne ha proprio bisogno».
Parliamo dei leader negli anni del “Si salva poco”. Il premier Giuseppe Conte…
«Abile nelle mosse e nel gioco tattico. Certo, in campo internazionale il difetto di leadership fa paura».
Il ministro degli Esteri è Luigi Di Maio.
«Non si impara in un giorno a guidare la diplomazia italiana. Tra l’altro, grazie al populismo del signor Di Maio e dei suoi urlatori, la mia pensione da parlamentare è stata tagliata del 57,9%: ridotta a duemiladuecento euro. In politica l’onestà consiste nella
capacità. E di capaci se ne vedono davvero pochi».
Il nome di un capace?
«Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia. La sua esperienza nel Parlamento europeo lo ha reso di sicuro competente. Però mi chiedo se sia chiaro un punto che Craxi aveva evidenziato già nel 1993: il trattato di Maastricht va rinegoziato».
Nel suo ultimo libro lei sostiene che gli ex comunisti italiani si siano consegnati all’europeismo liberista.
«È così. Complice l’ubriacatura per la Terza via blairiana, l’amministratore. Il Pd è la scuola dei bravi amministratori emiliani. Zingaretti ha frequentato la versione romana, con alle spalle il genio oscuro di Goffredo Bettini».
Bettini è stato per anni il dominus dei dem capitolini.
«Sono andato una volta a trovarlo, a casa della madre. Era scalzo. Mi sembrava di essere tornato in India, quando durante un lungo viaggio mi portarono a trovare un guru che se ne stava stravaccato su un divano».
A quando risale questo viaggio in India?
calvo. Era Craxi. Del Pennino me lo presentò e lui cominciò a farmi molte domande: studi, romanzi preferiti… Alla fine sentenziò: “Hai letto troppo Cesare Pavese e troppo poco Gian Burrasca”».
Lei è stato per molti anni il delfino di Craxi.
«Dal 1976, anno in cui Bettino diventò segretario, al 1983, quando arrivò alla presidenza del Consiglio, abbiamo vissuto sette anni a Roma in simbiosi mutualistica». Tra di voi ci sono stati anche momenti di forte contrapposizione.
«Decisamente. Nel 1986, quando mi impegnai per i referendum sulla giustizia e provai ad allineare il Psi su posizioni anti-nucleariste, Bettino mi mandò a dire, tramite Cornelio Brandini, che la mia testa era già tagliata e che se avessi fatto un passo in più sarebbe rotolata. Poi nel 1987…».
Che cosa accadde?
«Era caduto il governo Craxi e io ero andato a trattare il sostegno del Psi a un governo Andreotti. Andreotti nel suo studio di Montecitorio ci promise, tra le altre cose, una forte apertura al presidenzialismo. Tornai entusiasta in via del Corso…».
Sede storica del Psi.
«… Ma Craxi respinse l’accordo fulminandomi: “Non ti immischiare”. Da parte sua fu un errore clamoroso. L’incarico venne dato ad Amintore Fanfani e dopo due mesi si andò a elezioni. La tragica verità è che dal 1987 in poi Craxi non ne ha più azzeccata una».
Lei ha raccontato una conversazione a tre, con Craxi e Marco Pannella, in Transatlantico, durante la quale il leader radicale sconsigliò a Craxi di partire per la Tunisia.
«Io invece non lo contrastai. Capivo che era un errore, ma Bettino stava male e sapevo che se fosse rimasto in Italia lo avrebbero
«Non contrastai Bettino quando disse che voleva andare a Hammamet. Capivo che era un errore ma stava male e sapevo che se fosse rimasto in Italia lo avrebbero massacrato. L’ultima volta che gli parlai era la vigilia di Natale del 1999: era stanco»
massacrato».
È mai stato a Hammamet sulla tomba di Craxi?
«Sono corso a Hammamet il giorno della sua morte. Ho visto la scena insopportabile del suo corpo rannicchiato in una bara troppo piccola. E poi ci sono tornato negli anni successivi, anche con il mio figlio più grande, Giacomo. Craxi ci giocava quando era bambino. E mi ha chiesto di lui pure durante la nostra ultima conversazione».
Quando vi siete parlati per l’ultima volta?
«Una telefonata alla vigilia del Natale 1999. Era molto stanco. Gli dissi che sarei andato presto a trovarlo e lui mi chiese di aspettare perché si era operato da poco. Morì qualche settimana dopo».