MICHELLE WILLIAMS E IL DIRITTO ALL’ABORTO CHE DIVIDE L’AMERICA
Le reazioni in America al discorso dell’attrice ai Golden Globes hanno fugato ogni dubbio: la facoltà di scelta delle donne sulla maternità è il tema politico che più farà discutere nel 2020. A giugno la Corte Suprema dovrà decidere sulla revoca della sentenza storica che, nel 1973, introdusse la possibilità di abortire. Radiografia di un Paese
Accettando a inizio gennaio il premio di miglior attrice ai Golden Globes, Michelle Williams ha anticipato uno dei temi politici più divisivi nell’America del 2020. «Quando metti questo premio nelle mani di qualcuno, riconosci le sue scelte come attore, ma anche quelle personali. Sono grata per quelle che ho fatto e per aver vissuto in una società in cui esiste la possibilità di scegliere, perché come donne e come ragazze ci possono accadere cose che non sono una nostra decisione», ha affermato l’attrice, che ha ottenuto il riconoscimento della stampa estera di Hollywood per la serie Fosse/Verdon. «Ho provato a vivere la vita che mi sono scelta e non una vita composta da eventi che mi sono accaduti, ma non sarei stata in grado di farlo senza affidarmi al diritto di scelta delle donne», ha continuato Williams, 39 anni, che ha una figlia di 14 dall’attore scomparso Heath Ledger ed è in attesa di un bambino. «So che le mie scelte potrebbero essere differenti dalle vostre, ma viviamo in un Paese fondato sulla libertà di seguire il nostro credo. E quindi, donne dai 18 ai 118 anni, quando sarà il momento di votare, fatelo nel vostro interesse».
Le sue parole hanno lasciato strascichi per giorni, che hanno seguito le linee della feroce polarizzazione politica. A sinistra il discorso è stato definito «potente ed elegante», come ha scritto Margaret Lyons sul New York Times. A destra l’attrice è stata attaccata un po’ da tutti: «Le donne meritano di meglio», ha scritto Kathryn Jean Lopez sulla National Review, Noelle Mering su The Federalist si è chiesta perché Williams «dovesse giustificare il sacrificio del figlio in cambio del successo», mentre il Washington Times ha parlato di «ultra-normalizzazione dell’aborto». Reazioni energiche, che riflettono il clima con cui l’America affronta la questione dell’aborto.
Lo step di giugno
Pochi giorni prima, 205 parlamentari repubblicani e due democratici moderati avevano inviato alla Corte Suprema una nota amicus curiae chiedendo al massimo tribunale di considerare la revoca della sentenza Roe v. Wade, che nel 1973 ha concesso alle donne la possibilità di abortire. A giugno, infatti, i nove giudici si troveranno a valutare una legge approvata in Louisiana nel 2014 — e subito bloccata — che avrebbe abilitato un solo medico a praticare aborti in tutto lo Stato, rendendo l’interruzione di gravidanza praticamente impossibile. Questo caso, ha scritto il New York Times, «inietterà la divisiva politica dell’aborto nella campagna elettorale del 2020».
Non che ce ne fosse bisogno. Negli ultimi due anni, norme restrit
bianchi e i conservatori cattolici», spiega a Joshua Wilson, professore dell’Università di Denver e autore del libro The New States of Abortion Politics. «Entrambi i partiti hanno contribuito a rendere l’aborto una questione divisiva», prosegue Wilson. «Una volta che i cristiani conservatori hanno guadagnato potere, però, le posizioni antiabortiste sono diventate centrali per i repubblicani, che ora pensano di trovarsi di fronte alle migliori condizioni politiche da decenni». La sentenza sull’aborto non era mai sembrata in discussione, specifica Wilson, ma l’elezione di Donald Trump ha improvvisamente cambiato le cose.
Il nuovo equilibrio
Nel 2016, strizzando l’occhio alla destra cristiana durante la campagna elettorale, il futuro presidente aveva promesso di nominare alla Corte Suprema giudici in grado di ribaltare «automaticamente» Roe v. Wade. Una volta entrato alla Casa Bianca ha mantenuto l’impegno con la nomina di Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh, due giudici profondamente conservatori che hanno spostato a destra — 5 a 4 — l’equilibrio della Corte: la nuova composizione ha dato vigore al movimento pro-life, che ha cominciato a spingere per l’approvazione di leggi statali restrittive sull’aborto con l’obiettivo di creare controversie giuridiche a livello nazionale e arrivare a ridiscutere la sentenza. «Finché la Corte Suprema era composta da giudici che non avrebbero considerato di vietare l’aborto non c’era motivo di provarci», ci spiega l’avvocato Eric Johnston, presidente dell’Alabama Pro-Life Coalition, che ha contribuito a scrivere la legge approvata a maggio in Alabama.