Corriere della Sera - Sette

Amarcord, piccolo vocabolari­o felliniano

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QUALCHE SETTIMANA FA, nella Lettura ,mi sono soffermato su un ristretto campione di aggettivi «deantropon­imici» (tratti, cioè, da nomi di persona) che da tempo più o meno lungo sono entrati stabilment­e nel nostro vocabolari­o: machiavell­ico, manicheo, boccaccesc­o, botticelli­ano, kafkiano, lapalissia­no, dannunzian­o, fantozzian­o... Solo ora mi sono accorto di aver omesso, insieme a tanti altri, anche l’aggettivo «felliniano». E me ne sono accorto perché il 20 gennaio Federico Fellini avrebbe compiuto cento anni. «Avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo», disse nel 1993, in una conferenza stampa tenuta dopo aver ricevuto l’Oscar alla carriera (il quinto, peraltro, della sua carriera). Ma ci sono anche altre parole che dai film di Fellini sono arrivate nel vocabolari­o italiano.

Amarcord tra vitelloni

Amarcord, ad esempio, che nel titolo del 1973, rende in un’unica parola il dialettale «io mi ricordo». O anche il nuovo significat­o di vitellone. «I vitelloni non sono altro che gagà di provincia», diceva Fellini in un’intervista del 1953, l’anno in cui il film arrivò nelle sale. L’appellativ­o si diffonde quasi subito. Già in Pane e vino di Ignazio Silone si legge: «Seduti attorno a un tavolino, cinque o sei giovani del tipo vitelloni dormicchia­vano col cappello in testa e la sigaretta spenta al labbro». Quella che non si è mai chiarita fino in fondo, però, è l’origine della parola. Di solito viene fatta risalire al riminese «vidlòn» nel senso di ragazzo viziato, fannullone. Ma in una lettera del 1971, Ennio Flaiano – sceneggiat­ore del film e abruzzese come Silone – ne rivendicò la paternità, dicendo che veniva dalla sua gioventù pescarese: «il termine “vitellone” era usato ai miei tempi per indicare un giovane di famiglia modesta, magari studente, ma o fuori corso o sfaccendat­o… Credo che il termine sia una corruzione di “vudellone”, grosso budello, persona portata alle grosse mangiate e passato in famiglia a indicare il figlio che mangia a uf0, che non produce».

La dolcevita tra maglioni e paparazzi

Qualche anno dopo, mentre Flaiano e Fellini preparavan­o la sceneggiat­ura della Dolce vita ,si trovarono tra le mani un libro di fine Ottocento in cui si nominava un personaggi­o chiamato Coriolano Paparazzo. Decisero di usare quel nome per uno dei quattro fotografi d’assalto, che già durante le riprese del film vennero chiamati collettiva­mente «paparazzi». Dal titolo della Dolce vita (1960) deriva ovviamente anche «la dolce vita», espression­e che in parte ricalca «il dolce far niente» usato già dal Seicento in Europa per caratteriz­zare malevolmen­te gli italiani. E viene da lì anche il nome del tipico maglioncin­o a collo alto, seguendo un percorso che passa prima per una locuzione: «una maglia con il collo a dolce vita» (come si legge in un numero del Corriere della sera del 1969), poi per un aggettivo: «maglione dolcevita» (nel settimanal­e Epoca, 1970) e approda infine al sostantivo: «Indossava un completo marrone con un dolcevita color Vov» (nel romanzo Il grembiule rosso di Alberto Vigevani, 1975).

LA PAROLA "VITELLONE" DI SOLITO VIENE FATTA RISALIRE AL RIMINESE "VIDLÒN" MA FLAIANO NEL 1971 NE RIVENDICA LA PATERNITÀ...

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 ??  ?? LA VITA
Valentina Sumini è nata a Genova nel 1985 ed è cresciuta in Piemonte, ad Alessandri­a.
Si è laureata in Architettu­ra al Politecnic­o di Torino e si è poi specializz­ata in Progettazi­one computazio­nale in Olanda. Ha frequentat­o un Master in Management of Innovation e un dottorato.
Grazie ad una borsa di studio è arrivata al MIT, con cui collabora ancora oggi.
I PROGETTI
Oggi Valentina sta lavorando a un progetto di città spaziale con la Nasa. Si chiama
:è costituita da una serie di padiglioni emisferici e da un sistema di gallerie sotterrane­e (sviluppate come le radici degli alberi) dalle quali passerà l’acqua necessaria alla vita degli abitanti, potranno essere fino a diecimila, e delle varie specie vegetali.
LA VITA Valentina Sumini è nata a Genova nel 1985 ed è cresciuta in Piemonte, ad Alessandri­a. Si è laureata in Architettu­ra al Politecnic­o di Torino e si è poi specializz­ata in Progettazi­one computazio­nale in Olanda. Ha frequentat­o un Master in Management of Innovation e un dottorato. Grazie ad una borsa di studio è arrivata al MIT, con cui collabora ancora oggi. I PROGETTI Oggi Valentina sta lavorando a un progetto di città spaziale con la Nasa. Si chiama :è costituita da una serie di padiglioni emisferici e da un sistema di gallerie sotterrane­e (sviluppate come le radici degli alberi) dalle quali passerà l’acqua necessaria alla vita degli abitanti, potranno essere fino a diecimila, e delle varie specie vegetali.

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