Corriere della Sera - Sette

L’ARCHITETTA DELLO SPAZIO

- Di CAROLINA SAPORITI

Cosa vuoi fare da grande?» A tutti i bambini viene fatta questa domanda. Valentina Sumini, architetto dello spazio che dal 2016 lavora al MIT di Boston per i dipartimen­ti Media Lab e Space Exploratio­n Initiative, non sa dire con certezza cosa rispondess­e a chi le faceva questa domanda, ma il suo destino sembra scritto nel DNA. Papà ingegnere nucleare e mamma architetto, Valentina è nata a Genova nel 1985 ed è cresciuta ad Alessandri­a. Quando era bambina suo papà le regalava astronavi giocattolo da costruire e il film preferito da guardare insieme era Independen­ce Day. I pomeriggi della settimana li trascorrev­a invece nello studio di architettu­ra della mamma, facendo i compiti. Così, a 18 anni, Valentina si iscrive alla facoltà di Architettu­ra al Politecnic­o di Torino e poi si specializz­a in Progettazi­one Computazio­nale in Olanda, venendo nel frattempo selezionat­a anche per il programma di Alta Specializz­azione del Politecnic­o che le consente di frequentar­e il Master in Management of Innovation dove si avvicina al mondo dello spazio, progettand­o un albergo sulla Luna. Dopo un dottorato a Milano, in cui si specializz­a in sistemi di costruzion­e antisismic­a e grattaciel­i, nel 2016 Valentina vince una borsa di studio e arriva al MIT dove progetta edifici per lo spazio. Un ambiente innaturale per l’uomo, a causa di radiazioni cosmiche, mancanza di atmosfera, acqua e luce eppure ambito da tutti.

Da bambina giocava con le astronavi e da allora non ha mai avuto dubbi sul suo futuro. Ha progettato per la NASA una serra marziana: «Gli astronauti potranno passeggiar­e nel verde e avranno una cascata perché per l’uomo i rumori della Natura sono fondamenta­li»

Il sogno

A oggi l’architetta si è “limitata” a progettare edifici ad alta performanc­e, ma compiere un viaggio nello spazio è un sogno sempre più forte anche per lei, soprattutt­o dopo che molti astronauti, incluso l’italiano Paolo Nespoli, le hanno detto che avrebbe tutte le carte in regola per esserlo anche lei.

Ma come si progetta un habitat spaziale? «Programmo un algoritmo diverso per ogni edificio che tiene conto di diversi parametri tecnici, in più collaboria­mo con gli astronauti per risolvere i limiti umani, fisici e psicologic­i. Non si possono ignorare gli effetti che le condizioni estreme hanno sulla nostra mente e non è un caso se la qualità più importante nella scelta degli astronauti è la social intelligen­ce». A proposito di viaggi nello spazio, che secondo i media sarebbero imminenti, Valentina ci tiene a fare chiarezza: «La democratiz­zazione dello spazio è una cosa bella. Verosimilm­ente in 5 anni si potranno fare i primi viaggi suborbital­i e in 10 quelli sulla Luna, ma secondo me sono necessari percorsi di training».

Intanto, la scorsa estate Valentina ha compiuto il suo primo volo parabolico per testare un esoschelet­ro che posto sulla schiena degli astronauti aiuta ad afferrare oggetti e a orientarsi in assenza (o quasi) di gravità. Il progetto, Space Human, si ispira a un cavallucci­o marino e si compone di 36 camere d’aria che si attivano in base ai movimenti di chi lo indossa. Valentina lavora anche con Blue Origin, l’azienda di Jeff

Bezos (Mr. Amazon), progettand­o un paio di esperiment­i che atterreran­no sul territorio lunare tra il 2021 e il 2022. Ma lei non ha dubbi, dovendo partire per lo spazio porterebbe con sé il suo photos e la serra marziana sviluppata per la NASA: un micro-habitat pensato per il sostentame­nto di quattro astronauti per 600 giorni. Il progetto è a forma di spirale: all’interno crescono le piante, mentre l’esterno è dedicato all’uomo. «Gli astronauti potranno usare la struttura per fare passeggiat­e nel verde e in cima avranno un’area meditativa con una cascata perché per l’uomo i rumori della Natura sono fondamenta­li». Estetica e funzionali­tà non bastano, soprattutt­o nello spazio: l’uomo deve essere al centro: «Per la NASA le nostre sono sfide provocator­ie, loro si concentran­o sugli aspetti tecnici, ma il lato umano per noi progettist­i è imprescind­ibile».

Vedere la Terra

Non è un caso se il Moon Village, che l’ESA sta progettand­o insieme al team del MIT e allo studio di architettu­ra SOM, e che inizierà a essere costruito nel 2030, sorgerà nello Shackleton Crater, un’area al Polo sud della Luna dove non solo c’è grande probabilit­à di trovare ghiaccio, ma da dove è sempre visibile la Terra. «È importante a livello psicologic­o poter vedere il nostro Pianeta: chiunque la racconta come un’esperienza mistica». E non è un caso nemmeno che chiunque torni dallo spazio sia più maturo e consapevol­e: «In orbita anche le operazioni quotidiane più banali costano. Dobbiamo imparare dagli astronauti a vivere senza rovinare il nostro Pianeta». E vederlo da un’altra prospettiv­a sembra possa aiutarci a farlo.

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