IL BIOLOGO CHE RINGIOVANISCE LE CELLULE
Nel mondo futuro immaginato da Altered Carbon, la serie televisiva su Netflix, il sogno della vita eterna sarà diventato realtà. Almeno per i più ricchi. Perché nella San Francisco del 2384 i miliardari come Laurens Bancroft, uno dei protagonisti, potranno permettersi di comprare dei corpi giovani e sani in cui trasferire la propria coscienza, immagazzinata in un microchip. Fantascienza?
Forse. Ma non è un caso che questa fiction sia ambientata in California, perché è quì che la ricerca genetica sta compiendo i maggiori progressi nello studio dei processi legati all’invecchiamento. Tanto da lasciar già intravvedere, in un domani non lontano, la possibilità di ringiovanire le cellule, riportando indietro le lancette di quello che viene definito l’orologio epigenetico: quel particolare codice fisico-chimico, iscritto nel Dna, che rivela la nostra età biologica, e quanto ci resta da vivere.
È l’ultima frontiera della biomedicina cellulare, sulla quale è impegnato il professore Vittorio Sebastiano a Standford: uno dei tanti “cervelli” in fuga dal nostro Paese, da dieci anni in California, e prima ancora al Max Planck Institute di Münster, in Germania, dopo una laurea e un dottorato a Pavia. Quarantadue anni, sposato con Angela, due bimbi piccoli nati in America, Sebastiano ha sviluppato e brevettato una tecnologia per la riprogrammazione epigenetica, in grado di riparare quei danni a livello di tessuti e organi causati dall’avanzare degli anni. Una tecnologia che apre nuove prospettive nella cura di tutte quelle malattie dovute alla vecchiaia.
Professor Sebastiano, invecchiare
Vittorio Sebastiano, 42 anni, lavora a Standford. Il suo è il primo team a sperimentare su cellule umane le nuove tecniche di riprogrammazione epigenetica, in grado di riportarle indietro nel tempo. «Il nostro obiettivo non è allungare la vita», dice, «ma curare»
non è più allora un destino ineluttabile?
«Apparentemente lo è, anche se a ben guardare non è così. A livello individuale, è vero, l’invecchiamento è un processo irreversibile, nonostante le nostre abitudini di vita, la dieta, l’esercizio fisico possano rallentarne il ritmo. Ma a livello di specie non lo è affatto. Tant’è che pure se invecchiamo come individui, quando ci riproduciamo succede qualcosa di incredibile: nel corso della gravidanza alcune cellule anziane, l’ovulo e lo spermatozoo, generano delle cellule embrionali, la cui età viene resettata a zero. Assistiamo insomma ad un fenomeno di riprogrammazione. Nel corso di questo processo però non cambia solo l’età delle cellule, ma anche la loro identità: da cellule specializzate hanno origine delle cellule embrionali. E questo è stato il nostro punto di partenza…».
Si spieghi meglio.
«Shinya Yamanaka è lo scienziato giapponese che nel 2012 ha vinto il Nobel dimostrando che questo processo di riprogrammazione può essere ricreato in laboratorio. Solo che lui si è concentrato su un aspetto, e cioè la possibilità di riprogrammare l’identità delle cellule, generando delle cellule con altre funzioni, come avviene nell’embrione. Yamanaka le ha chiamate cellule staminali pluripotenti indotte, e sono alla base oggi della medicina rigenerativa, perché possono essere impiegate per la rigenerazione di tessuti e organi danneggiati. Finora però era stato sottovalutato il fatto che queste nuove cellule sono anche giovani: l’embrione non ha la stessa età biologica delle cellule dei genitori».
E com’è che succede?
«Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro: cosa distingue cellule con funzioni diverse? Se la struttura del Dna è la stessa, com’è che una cellula del fegato si comporta diversamente da un neurone? Esiste un’informazione epigenetica, un codice che istruisce le cellule su quali geni attivare, determinandone il funzionamento. L’invecchiamento è spiegabile con l’epigenetica, perché col tempo si accumulano degli errori in questo codice, che fanno sì che la cellula diventi sempre meno performante, e funzioni male, infiammandosi. La nostra ipotesi era che fosse possibile separare i due fenomeni che ho descritto, agendo solo sulla riprogrammazione dell’età delle cellule, senza modificarne l’identità. In altri termini volevamo dimostrare che si può riportare una cellula indietro nel tempo, per farne una versione più giovane e funzionale, correggendo questi errori di informazione che si accumulano nel Dna…».
E quindi?
«Avevamo iniziato i nostri studi da più di due anni, quando un collega spagnolo che lavora sempre in California, Juan Carlos Izpisua Belmonte, ha trovato una
prima conferma a quest’ipotesi, dimostrando che con il metodo di Yamanaka poteva ritardare l’invecchiamento di alcune cavie, allungandone l’aspettativa di vita di un 30% circa».
Come funziona questo metodo, come si riprogrammano delle cellule?
«Prima isoliamo delle cellule di pazienti che abbiano più di 65 anni. Siamo i primi ad aver sperimentato questa tecnologia su esseri umani. E finora l’abbiamo fatto con sette tipi diversi di cellule, come pelle, muscoli, cartilagini, retina, vasi e nervi. Dopo di ché trattiamo queste cellule con un cocktail di sei molecole particolari, sono dei Rna messaggeri che si trasformano in altrettante proteine».
Con quali risultati?
«Sottoponendo le cellule a questo trattamento, per un massimo di quattro giorni, siamo riusciti a ringiovanirle, senza modificarne l’identità. Abbiamo dimostrato che possiamo riportare le cellule indietro anche di otto anni, che diventano 20-30 nel caso di cellule muscolari. E ora stiamo testando se applicando diversi cicli di trattamento, possiamo aumentare l’effetto di questo ringiovanimento».
Qual è il rischio?
«Il rischio è una perdita di identità delle cellule che darebbe origine ad un tumore».
E vale la pena correrlo, per “togliersi” qualche anno?
«Il nostro obiettivo non è allungare la vita, ma curare quelle patologie il cui principale fattore di rischio è l’età, come artrite, malattie cardiovascolari e respiratorie, diabete, asma, cancro, Alzheimer. Se dimostriamo che queste cellule riprogrammate, un volta trapiantate, si comportano effettivamente come cellule giovani, allora riusciremo a contrastare anche quelle degenerazioni di tessuti e organi che sono all’origine di molte malattie causate dall’invecchiamento.
«Abbiamo sperimentato la tecnologia su cellule di pazienti con più di 65 anni: possiamo riportarle indietro di 8 anni, che diventano 20-30 nel caso di cellule muscolari»
Nel 2050 sul pianeta ci saranno 2 miliardi di persone con più di 65 anni, il nostro obiettivo è migliorarne la qualità della vita». Rigenerare gli altri organi, mentre il cervello invecchia. Già oggi un ultraottantenne su tre soffre di demenza…
«Non vogliamo creare dei vecchi con il corpo di ventenni. Siamo partiti dalle cellule che è più facile riprogrammare. Riportando le cellule ad uno stadio più giovane si abbassa il livello infiammatorio. Ma esiste un effetto domino, ed è dimostrato che una riduzione del livello infiammatorio porti ad invecchiare meno velocemente anche a livello cognitivo e di memoria».