Corriere della Sera - Sette

Protagora e la battaglia contro verità & autorità

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«L’uomo è misura di tutte le cose», scriveva Protagora nella Verità. Una provocazio­ne non di poco conto, la scelta di quel titolo per il suo libro: in fondo la sua tesi si risolveva in una critica serrata del concetto di verità, insieme a quello di autorità che sempre le si accompagna.

Chi si pretende in possesso di una verità assoluta, a cui gli altri devono piegarsi, mente. Perché nel mondo incerto degli uomini tutte le posizioni godono di una loro legittimit­à e tutti devono poter esprimere le proprie idee. Gli avversari di Protagora erano i cosiddetti «maestri di verità»: erano o sacerdoti che pretendeva­no di essere ispirati direttamen­te dagli dèi o filosofi come Eraclito e Parmenide che pensavano di aver capito tutto solo loro. Non funziona così: nessuno ha un accesso esclusivo alla verità, ognuno è «misura» dei propri giudizi e delle proprie esperienze e per questo deve poterle esprimere. Queste idee di Protagora, la rivalutazi­one delle opinioni di tutti, godono di una discreta circolazio­ne anche oggi, a pensarci bene. Solo che bisogna capire bene cosa intendesse, prima di tirare indebite conclusion­i.

Intanto, si tratta anche di pensare alle eventuali obiezioni che si possono sollevare contro la tesi protagorea dell’«uomo misura». Ad esempio: se tutte le tesi sono vere, sarà vera anche la tesi di chi sostiene che la tesi di Protagora è falsa; dunque la tesi di Protagora è falsa. No, avrebbe replicato Protagora. La sua tesi nega infatti che si possa parlare della verità in senso assoluto: dunque tutto è sempre «per me» o «per te». Se

– a te pare che la tesi sia falsa, la tesi sarà falsa «per te», ma non in assoluto. «Per me», ad esempio, rimane vera. Dunque non è vero che Protagora è stato confutato. È una difesa brillante, che rischia però di condurci nel vicolo cieco del «solipsismo», soprattutt­o quando in ballo ci sono i valori: nessuno può criticare nessuno, perché quello che pare a me è vero (e giusto) per me; quello che pare a te è vero (e giusto) per te. Come si risolve allora un eventuale disaccordo, quando a me pare una cosa e a te un’altra? Sono problemi attuali, viene da osservare, e la storia ha già insegnato cosa succede in casi analoghi: lo scontro e il ricorso alla forza sono l’unica soluzione.

Protagora, però, non pensava a questo esito. Perché l’eliminazio­ne di un concetto forte come la verità non significa che non si possano individuar­e altri criteri per favorire il confronto. Così, nel rispetto reciproco delle opinioni, si può anche tentare di stabilire cosa sia meglio (ad esempio: più vantaggios­o) in una data situazione, e su questo trovare un accordo. La priorità, spesso, non è stabilire chi ha ragione, bensì come fare a risolvere un problema, ricomporre una divergenza. Non è in fondo questo proprio quello a cui dovrebbe provvedere la politica – trovare soluzioni che evitino di ripiombare nel regno della violenza da cui tanto faticosame­nte siamo usciti? «Uomo» nella sua frase non è soltanto il singolo (io e te), ma gli uomini in generale che in assenza di valori assoluti stabilisco­no insieme i valori e principi per vivere insieme nel modo migliore. Protagora è stato il primo pensatore che scrisse in difesa della democrazia. Lo ha fatto non per permettere a ognuno di dire quello che gli passa per l’anticamera del cervello, ma per ricordarci che si può crescere solo insieme.

È una storia che resiste a tutto, quella del Gabinetto Vieusseux, fondato esattament­e due secoli fa a Firenze da un avvocato e uomo d’affari nato a Oneglia ma di origine ginevrina. Si chiamava Giovan Pietro Vieusseux, aveva lavorato a Livorno per una ditta del cognato, aveva viaggiato quasi ovunque per il Nord Europa, Francia, Belgio, Danimarca, Olanda, Svezia, Norvegia, Finlandia, Russia, poi aveva puntato verso Costantino­poli e la Grecia per approdare infine, quarantenn­e carico di esperienza, a Firenze nel 1819. «Poco avevo letto, ma visto e osservato di molto», scriverà ripen

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Protagora (490 a.C. circa 420 a.C. circa), oltre che filosofo, è stato anche un retore. È considerat­o il padre della sofistica
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