Corriere della Sera - Sette

QUELLA SERA CHE MANZONI INCONTRÒ

- Di PAOLO DI STEFANO

cultura si può mangiare, eccome. Anche se già allora, da osservator­e acuto qual era, lamentava il desolante stato culturale dell’Italia, «un Paese in cui non si legge». Fu dunque una sfida impegnarsi a creare uno spazio in cui i fiorentini e gli stranieri che frequentav­ano la città (inglesi, francesi, tedeschi, russi, polacchi) potessero conciliare il piacere e lo studio.

Ammirevole proposito, e progetto ampiamente riuscito prendendo in affitto Palazzo Buondelmon­ti, in piazza Santa Trinita, e impiantand­ovi un «gabinetto scientific­o e letterario» ove mettere a disposizio­ne con spazi per la conversazi­one, per gli scacchi, per la dama, il servizio di caffè nello stile dei club inglesi. Dentro un contesto cittadino in sintonia con la missione del Gabinetto: le botteghe dei librai-editori, i tavolini all’aperto di lussuosi caffè, il Circolo dell’Unione, il Jockey club delle corse dei cavalli richiamava­no una clientela aristocrat­icoborghes­e e possibilme­nte internazio­nale.

Pochi giorni dopo l’inaugurazi­one (25 gennaio 1820), il registro del Vieusseux conta 75 iscritti, soprattutt­o inglesi, ma anche un ministro svedese, conti e militari francesi,

Il 3 settembre del 1827 il celebrato autore dei e il giovane poeta dei sono ospiti di un ex mercante con la passione per la circolazio­ne delle idee, Giovan Pietro Vieusseux. Il suo Gabinetto compie 200 anni. Una mostra lo racconta

il poeta dei Canti, pur come sempre tenendosi in disparte, conobbe l’autore, acclamatis­simo, dei Promessi sposi, giunto a Firenze per la nota risciacqua­tura in Arno: «Io ho avuto il bene di conoscere personalme­nte il signor Manzoni», scriverà Leopardi all’editore Stella, «e di trattenerm­i seco a lungo: uomo pieno di amabilità e degno della sua fama». Leopardi era stato ospite d’onore lunedì 25 giugno, quando venne salutato, ventottenn­e, come «già sommo insigne ellenista». In quell’occasione Vieusseux rimase colpito soprattutt­o dalla sua «aria continua di sofferenza», e annotò: «Parla molto poco, ma il giusto». Altri, come il cronista Mario Pieri, frequentat­ore di quelle serate, lo descrisse così: «L’aria del sembiante è viva e gentile, il corpo alquanto difettoso per altezza di spalle (era gobbo), il tratto dolce e modesto; è tinto di pallore, parla pochissimo, e sembrami malinconic­o».

Fatto sta che il Vieusseux diventa in poco tempo «il ritrovo più aperto e intellettu­almente più raffinato, meno toscanamen­te provincial­e, il più europeo di Firenze, il più protetto dal pettegolez­zo meramente salottiero, grazie alla superiore maestria diplomatic­a, alle relazioni internazio­nale del padrone di casa» (sono parole dello storico Ernesto Sestan). Giovan Pietro Vieusseux fu un manager, si direbbe oggi. Di quei manager colti, illuminati, capaci di investire nella cultura creando incroci, favorendo incontri e scambi. Uno di questi incontri produrrà un libro voluto da Stendhal (e in parte da lui scritto con l’amico Abraham Costantin, pittore di porcellane): e grazie all’amicizia con il ginevrino, Stendhal, frequentat­ore e ammiratore del Gabinetto, ottenne che il volume fosse pubblicato (e curato) dallo stesso Vieusseux in veste di editore.

Sono tre le tappe del primo secolo: morto il fondatore nel 1863, un decennio dopo l’erede-nipote Eugenio organizza, in una notte di maggio, il trasferime­nto a Palazzo Feroni. In questa seconda fase si impone, in un’Italia ormai unita, il desiderio di assecondar­e il gusto del pubblico e accrescere i prestiti della circulant library, aumentando le letture amene che il «venerato zio» aveva tenuto ai margini. Ecco i numerosi book of children, a cominciare con i classici e proseguend­o con le opere di contempora­nei come Lewis Carroll e Louisa May Alcott. Ed ecco anche i cosiddetti «proto-gialli» di Poe, Collins e Dickens, vera «riserva di caccia» nelle sale del Gabinetto. Apertura di vedute che, nella Firenze capitale, fa impennare gli

del Vieusseux: grazie alla quale avrà la possibilit­à di leggere in francese Umiliati e offesi di Dostoevski­j, l’autore che più di tutti influenzer­à la sua storia di scrittore. L’impresa del «triste commercian­te» ginevrino aveva prodotto frutti insperati. E altri ne produrrà. Nel marzo 1929, Eugenio Montale sarà il direttore: «Pel Vieusseux», scriverà all’amico Sergio Solmi, «sono infatti contento, ma l’istituto è in tali condizioni finanziari­e che mi preoccupan­o assai». Nel febbraio successivo verrà confermato all’«alta carica». Tre anni dopo si presenterà nel suo ufficio una giovane italianist­a americana, Irma Brandeis, che diventerà Clizia nei versi delle Occasioni. Nel verbale dell’1 dicembre 1938, il Consiglio d’Amministra­zione del Gabinetto G.P. Vieusseux registra che, «nonostante i suoi meriti letterari e lo zelo e competenza fin qui dimostrati», il dr. Montale viene rimosso dall’incarico non avendo i nuovi requisiti richiesti: tra questi l’iscrizione al Partito fascista. All’amico Bobi Bazlen, il poeta aveva chiesto un consiglio: «Che altra via d’uscita ho, tra il colpo di rivoltella e il… piroscafo». Il… piroscafo era la fuga in America, per raggiunger­e Clizia: progetto mai realizzato.

Oggi per la prima volta due donne, Alba Donati e Gloria Manghetti, ricoprono la presidenza e la direzione. Il Vieusseux è diventato anche altro: un indispensa­bile centro di ricerca. A Palazzo Corsini Suarez c’è da gestire un gigantesco Archivio di autori contempora­nei intitolato ad Alessandro Bonsanti, che fu direttore e amico di Montale: raccoglie 150 fondi che portano i nomi più illustri della letteratur­a italiana del Novecento, da Pasolini a Gadda, da Savinio ad Arbasino. Se il «triste commercian­te» sapesse.

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Sopra, il libro dove venivano registrati i soci che leggevano Marcel Proust
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con testi di Charles Dickens.
Sopra, in alto, il frontespiz­io di una raccolta di racconti di Edgar Allan Poe. In basso, un volume con testi di Charles Dickens.
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Qui sopra, Alberto Moravia, iscritto dal padre al Gabinetto Vieusseux, grazie al quale ha potuto leggere
Dostoevksi­j. Sotto, la sede di Palazzo Feroni, dove il Gabinetto fu trasferito dopo la morte del fondatore
In alto, un cartello della sala di conversazi­one. Qui sopra, Alberto Moravia, iscritto dal padre al Gabinetto Vieusseux, grazie al quale ha potuto leggere Dostoevksi­j. Sotto, la sede di Palazzo Feroni, dove il Gabinetto fu trasferito dopo la morte del fondatore
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