La trincea della taglia 46
per insicurezza, lo scrive affinché le rispondano «Ma sei una silfide…». Solo che accanto ai «Sei una silfide» arrivano le critiche, le esortazioni a curare anche l’aspetto interiore. Al che la ragazza replica: «Se siete abituati a essere o a stare con delle mongolfiere, la colpa non è mia. Baciiii».
Quanto body shaming passa per i social. E quante frodi. «Ho perso 45 kg coi soffioni», recita un account di Facebook; «Il primo video è gratuito»; Compra il mio corso online, scoprirai come guarire dal binging in pochi giorni». Puntuali si precipitano, ad approfittarsi di chi soffre, ciarlatani e ciarlatane. Ora è la volta del il disturbo dell’alimentazione incontrollata. Un problema molto serio, che non si cura col tarassaco né guardando un video, ma rivolgendosi a medici psicologi e comportamentalisti. Può aiutare, invece, nel percorso di accettazione di noi stessi, il lavoro che da circa un anno fanno Chiara Meloni e Mara Mibelli col progetto Belle di faccia, nato su Instagram e diventato associazione. Obiettivo: riportare i corpi grassi al centro del movimento body positive. Gli insulti camuffati («Ma hai un viso bellissimo…»), le taglie plus-size che non lo sono, il concetto di fat acceptance: temi di cui parliamo spesso su anyBody. Chiara e Mara offrono spunti di riflessione e di confronto arguti. «In Italia», osservano, «non c’è ancora consapevolezza di cosa sia la grassofobia. La body positivity è spesso ridotta ad hashtag di successo per corpi pressoché “normali”. «Amati come sei», ti dicono, «ma solo fino alla taglia 46». Mentre le persone grasse continuano a essere messe all’angolo, discriminate e bullizzate dai media al luogo di lavoro. Finché ci saranno corpi indicati come traguardo da raggiungere e altri che invece sono solo il “prima” di diete e allenamento, esisterà il body shaming».
Va così. Una ragazza magrissima posta una foto in cui lamenta di sembrare al settimo mese di gravidanza. «Ma i 47 kg la bilancia non li segna ancora», chiosa con l’emoji delle dita incrociate. Lo scrive
IL CIBO RACCONTA CHI SIAMO
Memoria, appartenenza, nostalgia, ma anche rifugio, malattia, condivisione e solitudine. Il cibo come lente attraverso cui guardare il mondo nell’omonimo romanzo di Helena Janeczek per
Guanda, protagoniste una donna che vuole dimagrire e la massaggiatrice che l’aiuta.
Alice nel paese delle meraviglie,
La talpa,