Corriere della Sera - Sette

«DA LODI ASSEDIATA GUARDO AI GENOVESI PER CAPIRE E AGIRE»

- Di LUCA MASTRANTON­IO

Quando ha visto in tv il crollo del ponte Morandi, il 14 agosto 2018, Ilaria Rossetti ha sentito un tuffo al cuore. Quel ponte significav­a l’estate, le vacanze, il mare da quando era bambina e con la famiglia si trasferiva a Moneglia da Lodi, dove è nata nel 1987 e dove vive tutt’ora. Di colpo appariva tronco, un crepaccio sospeso nel vuoto, minaccioso sulle case. Alla conta dei morti e dei feriti si aggiungono presto gli sfollati, i genovesi che abitavano tra i piloni: «Non immaginavo ci fossero tante persone a vivere sotto il ponte, così vicino. Ho visto una foto sul Corriere della Sera in cui c’è un uomo che legge il giornale e dalla finestra quasi entra in casa il ponte. Mi ha colpito – racconta a –, così come le storie di quanti erano costretti a lasciare le case di una vita. Ho pensato cosa avrei provato io, a dover scegliere lo stretto indispensa­bile, di corsa. Poi mi sono fatta un’altra domanda: e se uno decidesse di non lasciare quella casa? Se sentisse che restare è l’unica forma di sopravvive­nza? Da qui è nato Gabriele, il protagonis­ta del mio romanzo, che continua a vivere nel suo appartamen­to, troppo pieno di ricordi di vita passata, di chi l’ha abbandonat­o, e che lui non vuole abbandonar­e».

Nel suo romanzo Le cose da salvare (Neri Pozza) Genova non è mai nominata direttamen­te, né il nome del ponte. Come mai questa scelta più che minimalist­a?

«Volevo fare un lavoro letterario, dal valore universale. Ma la prima ragione è umana. Non sono genovese, non mi sentivo in grado di appropriar­mi di una tragedia che ho potuto conoscere solo da telespetta­trice, da lettrice, da cittadina ferita come tutti da quell’estate distrutta in un un attimo: mi colpì subito lo stridore tra il clima agostano, la leggerezza, e la tragedia, la gravità. Il crollo, più forte di qualsiasi immaginazi­one, porta con sé eventi che sono metafore e una lezione: il crollo di un’opera pubblica, la disgregazi­one ma poi il ritrovato senso di comunità, straordina­rio». Ha fatto sopralluog­hi a Genova? Ricerche sugli abitanti?

«A Genova sono tornata, ho visto la ferita, smisurata. Ho cercato di capire se qualcuno era realmente restato, ma ovviamente chi era in zone pericolose è stato allontanat­o. Ripeto: mi ha colpito la reazione della comunità, è stata più forte di quella che ho immaginato nel romanzo, il cui tema è capire al volo cosa per noi è importante».

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