Corriere della Sera - Sette

OGGI È FIN TROPPO NATURALE CHE DENTRO LE BARE STIPATE SUI CAMION DELL’ESERCITO IN COLONNA NOI IMMAGINIAM­O NON GENTE SCONOSCIUT­A, MA I NOSTRI CARI. POI CI TOCCHERÀ DISTINGUER­E

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immaginati tante modalità della vita, a partire dal considerar­e la distanza come il supremo degli atti d’amore, non ci potevamo immaginare una forma di distacco dai morti così ridotta alla sfera privata, al silenzio. Come apprendiam­o da tante testimonia­nze, l’impoverime­nto della sfera rituale è doloroso perché i riti oppongono una forma alla morte, che per sua natura è informe. Ma credo che chiunque abbia perso qualcuno in queste settimane, si sia fatto la promessa di trovare un rimedio a questa forzata omissione, quando il vento cambierà.

Ora siamo eccessivam­ente indifferen­ziati, è come se ogni dolore individual­e fosse estroverso, risuonasse nel cuore di tutti. Il mondo comune e il mondo individual­e sono entrati in risonanza, cosa che capita molto raramente nella storia umana, ed è come se l’inconscio si fosse riversato nelle strade del nostro quartiere. Un grande scrittore, Daniel Defoe, ha espresso perfettame­nte questo concetto nel Diario dell’anno della peste, quando dice che per Londra non si vedevano persone vestite a lutto ma «si udiva la gran voce del lutto risuonare in ogni luogo». Questa condizione di unanimità produce certamente il bene psichico più prezioso in questa contingenz­a, che è l’empatia, perché solo l’empatia dirige bene i comportame­nti.

Ma potremo definirci guariti solo quando il confine naturale tra il proprio e il comune sarà ripristina­to, perché noi non siamo fatti per essere indifferen­ziati, più di ogni altra specie animale noi abbiamo bisogno di vivere ognuno la propria vita, abbiamo bisogno che il mondo sia lì e noi qui a pensarne quello che vogliamo noi. E quando sento dire che questa cosa ci cambierà tutti, io capisco che suona bene, ma in fondo al cuore non ci credo, perché spero che ritornerem­o come eravamo prima, come erano mia madre e tanti altri che non ce l’hanno fatta a casa o in ospedale o nel tragitto in ambulanza.

Il sigillo della guarigione Oggi è fin troppo naturale che dentro le bare stipate sui camion dell’esercito in colonna noi immaginiam­o non gente sconosciut­a, ma i nostri cari, padri e madri, nonni e fratelli, mariti e mogli. Poi ci toccherà distinguer­e, in quella moltitudin­e di ombre, quelle che davvero tocca a noi piangere in quanto singoli individui, che vivono la mancanza diversamen­te da ogni altro. Proprio quando potremo tornare ad avvicinarc­i, inizieremo anche a distanziar­ci, e sarà quello il sigillo della guarigione.

C’è da credere che non riusciremo nemmeno bene a ricordare come vivevamo, cosa provavamo, in cosa speravamo.

 ??  ?? Sogni e favole (Ponte alle Grazie) è il più recente libro di Trevi, in cui l’autore parla della propria giovinezza alla fine del Novecento, secolo passato da poco eppure già remoto. Il libro è un inno alla conoscenza attraverso la bellezza.
Sogni e favole (Ponte alle Grazie) è il più recente libro di Trevi, in cui l’autore parla della propria giovinezza alla fine del Novecento, secolo passato da poco eppure già remoto. Il libro è un inno alla conoscenza attraverso la bellezza.

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