Il mistero dell’inconscio Freud? No, Plotino
Racconta Porfirio che Plotino si vergognava di avere un corpo. Rifiutò sdegnato quando gli proposero di fargli un ritratto e non voleva saperne di celebrare compleanni. Morì in totale solitudine. Piccoli dettagli, rivelatori di una personalità complessa: fu un grande metafisico, Plotino,
ma forse non troppo interessato a indagare il mondo degli uomini, verrebbe da pensare. In realtà è proprio a lui che dobbiamo alcune delle intuizioni più profonde sulla natura umana. Plotino è stato il primo a scandagliare il nostro inconscio, a scoprire che noi non siamo solo quello che pensiamo di essere – la coscienza –, a sostenere che quello che siamo è qualcosa di cui non siamo neppure consapevoli.
Siamo noi stessi quando dormiamo? Di certo non siamo consapevoli di noi stessi in quel momento: difficile però dire che non siamo noi. È un indizio apparentemente marginale, che svela una verità più profonda: che l’io e la coscienza, ciò che noi siamo e ciò di cui siamo consapevoli, non sono affatto coestesi. La nostra coscienza illumina solo una parte ridotta di tutto ciò che si annida dentro di noi. L’esempio del sonno non è scelto a caso. Il pensiero corre subito a Sigmund Freud: non è stata forse una delle grandi scoperte del Novecento l’idea che la vita umana si svolge anche al di là della soglia della nostra consapevolezza? C’è qualcosa di profondo, dentro di noi, di cui non siamo coscienti e che però siamo noi. Lo aveva già spiegato Plotino.
Moderna quanto si vuole, la sua psicologia costituisce però anche una sfida radicale per noi. I contemporanei hanno ricondotto questo
Perché c’è un mondo di idee e pensieri là fuori, perfetti e eterni, che costituiscono anche le leggi che regolano i nostri pensieri coscienti. Sono come l’hardware che permette al software di funzionare. Noi non vediamo il triangolo o il due, ma sarebbe difficile negare che esistano: esistono, ed esisterebbero anche senza di noi, sempre. E noi continuiamo a usare queste verità matematiche e geometriche, senza neppure rendercene conto, così come raramente ci rendiamo conto delle regole grammaticali che pure usiamo quando parliamo. C’è tutto un mondo di idee e pensieri, che servono per mettere in ordine il mondo. Saremo anche fatti di impulsi e passioni ciechi e primordiali, come vuole Freud.
Ma da dove viene allora l’esperienza dell’ordine? Sarà un gran caos la realtà, ma noi la percepiamo e comprendiamo come qualcosa di ordinato. Che ci sia anche altro? Sembravano ben bizzarre le teorie di Plotino: in realtà sono un tentativo di mostrare che intorno a noi e dentro di noi a prevalere è l’ordine, non il disordine. E se avesse ragione lui?