L’ASSASSINIO DI REYNA INCINTA AL NONO MESE
Chiama la polizia, che assiste alla medesima, atroce visione: dal contenitore spuntano una mano e un tacco di scarpa da donna. Nell’obitorio della contea lo svuotano con difficoltà e, insieme a una quantità di pallini di plastica e a una tintura sintetica verdastra, estraggono il corpo mummificato di una donna. Minuta, bruna, ha acconciatura e abiti tipici degli anni Sessanta. È stata uccisa con una decina di colpi, violentissimi, al capo. Durante l’autopsia, la scoperta più sconcertante: la donna era incinta, al nono mese.
I primi indizi
La polizia scarta immediatamente i Coen. Però ha pochissimo su cui lavorare: due capsule dorate sui premolari suggeriscono un’origine latinomericana, niente di più. Nel barile, trovano un rametto di foglie di plastica e una rubrica telefonica, ridotta a poltiglia ,e li spediscono alla Scientifica. Rintracciano
i produttori del barile, che lo identificano come uscito di fabbrica nel 1965. Frattanto, un essiccatore fa il miracolo: si riesce a leggere qualche riga, delle sparute pagine dell’agenda non ancora mangiate dal tempo e dalla resina. Un numero ricorda i codici della carta verde: gli agenti Parpan ed Edwards lo passano all’ufficio immigrazione e c’è una corrispondenza. Reyna Angelica Marroquin. Nata a El Salvador nel 1941, trasferita a New York nel 1966. Nessun’altra notizia. Non ci sono parenti rintracciabili, nessuno risulta avere mai chiesto di lei.
Lo studio dell’agenda riesuma un paio di nomi di battesimo; uno, Kathy, è collegato a un’utenza telefonica. Parpan, perso per perso, chiama: il numero è attivo e, incredibilmente, risponde ancora lei, Kathy Andrade. All’anziana immigrata salvadoregna mostrano la fotografia di Reyna. Spiegano cosa le è successo. In lacrime, la signora racconta una storia terribile.
Una storia terribile
Erano amiche del cuore, lei e Reyna. L’aveva conosciuta al suo arrivo in città e si era presa cura di lei, trovandole anche un lavoro nella sua azienda di confezioni di abiti. Più avanti, Reyna era stata assunta in una ditta che produceva fiori e piante finte; le aveva confidato che aveva stretto una relazione con un uomo sposato, di cui non le aveva detto il nome, ed era rimasta incinta. Quando il pancione era diventato evidente, per evitare imbarazzi aveva abbandonato il collegio cattolico in cui alloggiava; l’uomo le aveva affittato un appartamento a Hoboken ma, dopo averle promesso
che avrebbero trascorso la vita insieme, aveva cambiato idea. Era il gennaio del 1969. Reyna, in preda alla disperazione, aveva telefonato a tradimento a casa dell’uomo, mettendo la moglie a conoscenza della tresca. Lui, su tutte le furie, le aveva giurato vendetta.
Rassegnazione
Kathy Andrade, il giorno dopo l’episodio, era andata a trovarla, per consolarla. La porta dell’alloggio era aperta. Sul tavolo, un pasto tiepido ancora da consumare. Reyna non c’era. La polizia, però, aveva respinto le ansie dell’amica: Kathy non era una parente della scomparsa e, non sapendo chi fosse il padre del nascituro, non poteva fornire altre informazioni utili. Sperava che l’amica fosse tornata a El Salvador dalla famiglia, che lei non conosceva. Col tempo, si era rassegnata: non l’avrebbe mai più rivista.
La svolta arriva incrociando i dati di spedizione del barile e la testimonianza dell’uomo che aveva venduto casa ai Coen, mister Ebbin. Inizialmente sospettato dalla polizia, costui rammenta che l’uomo da cui aveva comprato l’immobile, a inizio anni Settanta, lavorava in un’azienda di oggetti plastici. Il barile era destinato alla Melrose Plastic Company di Manhattan: negli anni Sessanta, era di proprietà di due persone. Uno era il signor Howard Elkins: l’ex proprietario della casa dei Coen. La polizia lo rintraccia a Boca Raton, in Florida: settant’anni, incensurato, nonno, gentile e disponibile. Elkins riceve la visita degli agenti Parpan ed Edwards. Sorride, ma mente su tutto. Sul barile, che finge di non riconoscere; sulla resina, che invece serviva eccome per fabbricare le piante finte. Ammette la relazione con una dipendente della quale, però, non ricorda nulla. Gli agenti gli chiedono di sottoporsi a un tampone per il Dna, informandolo del ritrovamento del cadavere di Reyna Marroquin, incinta. Elkins rifiuta ma è messo alle strette. Lo salva il telefono, che interrompe i silenzi del sospettato: l’anziano risponde a una chiamata, poi invita i poliziotti ad andarsene «perché stasera devo parlare con mia moglie di cose importanti, non voglio che vi trovi qui». Parpan si congeda giurandogli che sarebbero tornati con un mandato, e che lo avrebbero «spedito in prigione per il resto della vita». Elkins annuisce, quasi impercettibilmente.
La svolta
Il giorno dopo, la signora Elkins presenta denuncia di scomparsa: il marito non si è fatto trovare in casa. Mentre i poliziotti brigano per incontrare un giudice locale che firmi l’ordine di prelievo del Dna, un vicino di casa scopre il corpo di Elkins in garage, sul sedile posteriore del suo Suv. Si è sparato un colpo in faccia, con un
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