«LA MODA PARLA CON TROPPE VOCI»
poi sono tutti bravi a parlare…», risponde Bertelli che controlla insieme alla moglie Miuccia e alla sua famiglia il gruppo Prada, 3,2 miliardi di euro di ricavi, quotato a Hong Kong. «Credo che si debba essere più comprensivi: ci si è trovati di fronte a una situazione imprevista e imprevedibile, nessuno si sarebbe immaginato un quadro di questa dimensione. Quello che, invece, è davvero inammissibile è il non essere stati capaci di fare un minimo di sacrificio… dimostra un egoismo che non tiene conto dello Stato, della società, della morale, di niente. Si parla spesso a sproposito di morale: questa è la prima circostanza in cui è il caso di parlarne». Perché, sottolinea, «per colpa di chi non vuol capire la situazione, viene danneggiata una marea di persone. Ci perde una filiera industriale, ci rimettono gli operai che hanno bisogno di lavorare e vivono del loro stipendio». E, allora, «chi non rispetta le regole deve essere sanzionato pesantemente. Ma non con una multa: di cui approfittano i concorrenti (negli altri Paesi, pur colpiti dal virus, le fabbriche non si sono chiuse del tutto), rischiano di distruggere quell’unicum italiano che è la filiera: una miriade di piccoli laboratori di nicchia, molto flessibili, a cui si appoggiano le grandi aziende per le forniture.
L’interrogativo è quanto a lungo potrà reggere in queste condizioni. Prada, maison milanese, in Italia ha stabilimenti in Toscana, Umbria, Veneto e Marche. «Faremo la nostra parte con i nostri fornitori, come Zegna o Renzo Rosso faranno lo stesso con i loro. Ma sono migliaia e migliaia di imprese in tutta l’Italia. La mia proposta è che lo Stato dia loro contributi a fondo perduto; naturalmente alle aziende sane, non a chi fa il furbo. A Prada è giusto chiedere che restituisca i finanziamenti, ma un artigiano non può stare con questo pensiero. Anche perché molti di loro sono anziani e si domanderanno se conviene restare aperti o è meglio chiudere. Questa crisi potrebbe
essere un acceleratore di chiusure».
Significa disoccupazione. «In America ci sono già 15 milioni di disoccupati, lo Stato dovrà in qualche modo accompagnare queste persone». Una volta perso il know how si può ricostruire da qualche altra parte? Magari in un Paese concorrente? «In casi come questi», risponde, «la società si sviluppa verso altre direzioni e altri prodotti. È l’essere umano che si adegua al cambiamento. Quindi, certi prodotti cadranno in disuso, come è successo — per fare un esempio eclatante — ai bastoni da passeggio. Non essendoci più artigiani che li realizzano, finisce il consumo. È sempre stato così. È un passaggio della storia».
Eppure per Bertelli il know how italiano dovrebbe essere protetto come si fa con un brevetto. «Ne ho fatto una battaglia in tutta la mia vita», sottolinea. «Sappiamo esattamente quante sono le fabbriche, piccole e medie, sparse in Italia e che rappresentano il vero lavoro della moda e di tutto rubare a ciascuno un pezzettino della propria storia. Ecco, manca una associazione forte che ci rappresenti all’interno del sistema, che ne porti avanti le tematiche e soprattutto le faccia conoscere. L’ho detto e ridetto, ma la gente non ascolta. Eppure, tutti ci vestiamo la mattina, ci mettiamo le scarpe, portiamo gli occhiali, non possiamo dimenticare che c’è questa industria».
Con la crisi è riemerso il timore che aziende italiane in crisi di liquidità possano essere rilevate da operatori stranieri. Le grandi imprese come Prada potrebbero essere capofila per evitare questo pericolo? «Anche questo è un argomento che abbiamo discusso in lungo e in largo e se ci fosse stata una associazione forte probabilmente si sarebbero costruiti anche dei criteri di difesa. Ma mi sembra che oggi ormai tutto quello che poteva accadere sia accaduto, non può succedere tanto di più».