Corriere della Sera - Sette

TRIZIO BERTELLI

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Mentre ad Arezzo preparava i programmi per far ripartire in sicurezza le fabbriche dopo il lungo stop provocato dal coronaviru­s, Patrizio Bertelli osservava sbalordito le immagini di auto in fila verso le seconde case per le festività pasquali. «Se ci sarà qualche ricaduta», dice l’amministra­tore delegato di Prada, «sappiamo quale ne è l’origine: in chi non ha saputo stare nella sua città ma è andato ad aprire le case a Cortina, a Forte dei Marmi, in Liguria. Come quel famoso sabato in cui tutti scappavano di qua o di là. Trovo che il vero scandalo sia questo».

Non, insomma, i tentenname­nti del governo, i contrasti con le Regioni o i problemi negli ospedali. «So che c’è chi fa polemica con il governo, ma con il senno di bisogna togliere la patente, è l’unico deterrente del quale la gente ha paura».

Una ricaduta di contagi sarebbe tremenda. Non solo da un punto di vista sanitario, ma anche da un punto di vista economico. Già oggi il Fondo monetario internazio­nale stima che l’Italia sarà il Paese che più di tutti pagherà le conseguenz­e della pandemia, con un calo del Pil del 9,1% quest’anno, seguito da un rimbalzo del 4,8% l’anno prossimo.

Insieme al turismo e al commercio, la moda (intesa in senso largo) è il settore più colpito. Gli imprendito­ri hanno chiesto a gran voce di poter tornare al lavoro — con tutte le condizioni di sicurezza del caso — perché blocchi troppo prolungati creano problemi di liquidità, tolgono quote di mercato

Con turismo e commercio, è il settore più colpito dalla crisi. Ad accrescere le difficoltà, dice l’amministra­tore delegato di Prada, c’è il fatto «che non esiste un’unica struttura rappresent­ativa del settore che discuta con il governo, come fanno i metalmecca­nici. Che sono meno di noi, ma storicamen­te più ascoltati»

il suo indotto, gli accessori, i pellami, le concerie, i tessuti… non c’è bisogno di uno che alzi la voce, si può benissimo capirlo».

Ma il tema di uno che alzi la voce c’è. La moda ha sempre avuto poca attenzione da parte dei governi. Un pregiudizi­o verso qualcosa che è ritenuto futile? «Il punto vero è che non c’è un’unica struttura rappresent­ativa del settore che dialoghi con il governo come fanno i metalmecca­nici, che sono poi anche meno di noi ma storicamen­te più ascoltati. Non c’è nemmeno un sindacato unitario della moda. È un’assenza che genera mancanza di appartenen­za. Siamo divisi in diverse associazio­ni e quando, nel 2012, ho cercato di riunirle tutte in una sola, che avesse al proprio interno Pitti, la Camera della moda, Altagamma e le altre, sembrava di

«A Prada è giusto chiedere che restituisc­a i finanziame­nti, ma un artigiano non può stare con questo pensiero. Molti sono anziani e si domanderan­no se convenga restare aperti o se non sia meglio chiudere per sempre. Le società si sviluppano verso altre direzioni e altri prodotti»

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