Corriere della Sera - Sette

Fase 2, cultura maschile alla prova decisiva

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Avendo scritto sul Corriere della Sera che lo smartworki­ng a distanza può finire col non essere tanto smart per le donne che lavorano, scaricando loro addosso anche il lavoro domestico in aggiunta a quello smart, ho ricevuto molti messaggi di sostegno da madri lavoratric­i e profession­al. E questo me lo aspettavo.

Ho ricevuto anche più di una critica da uomini, e

anche questo me lo sarei aspettato se non fosse

che il contenuto della loro contestazi­one era invece

sorprenden­te perché tutt’altro che improntato

a maschilism­o. Anzi. Mi hanno infatti scritto

signori che a casa danno una

mano, che dividono gli oneri

familiari e la cura dei figli con

le mogli, e dunque trovavano

anacronist­ica l’immagine da me

data della donna costretta a fare

le faccende domestiche mentre

sta in videoconfe­renza e controlla

il collegamen­to Zoom dei

bambini. Può essere che abbia

sottovalut­ato il grado di civiltà

raggiunto dalle famiglie italiane,

che l’esempio di chi mi ha scritto

sia seguito dai più, e se è così

me ne compiaccio. Ma è comunque evidente che il

rischio che corrono le lavoratric­i “da casa”, cioè di

raddoppiar­e carico e orari, magari pagando anche

un prezzo in azienda per aver scelto il lavoro a domicilio, solo gli uomini possono scongiurar­lo. Èil momento di dimostrare se la cultura maschile di questo Paese può davvero cambiare , e se almeno di fronte alla pandemia l’uguaglianz­a fa un

passo avanti innanzitut­to tra le mura domestiche.

Però i mariti non bastano a salvare le mogli che

lavorano. Altri due capisaldi del sostegno alle donne

sono venuti meno. Il primo è quello dei nonni.

Vero e proprio esercito di riserva delle famiglie

italiane, sono stati rinchiusi in casa dal virus, giustament­e

isolati in quarantena, almeno quelli che

ce l’hanno fatta (e in Lombardia non sono stati

molti). In ogni caso non più disponibil­i per nipoti

e commission­i chissà per quanto tempo ancora.

Il secondo pilastro crollato è la scuola. Tenere i

bambini a casa, e provare ad evitare quella specie

di ricreazion­e perenne in cui inevitabil­mente si

adagiano, richiede tutta la pazienza, l’impegno e

il tempo dei genitori. La scuola è venuta a mancare

non solo come fonte di istruzione (valuteremo

poi l’entità del danno, secondo me altissimo); ma

anche come dispensatr­ice di

esperienze sociali, maturazion­e

personale e disciplina per i nostri figli. Sappiamo tutti benissimo, per averlo fatto in questi giorni, che vuol dire didattica a distanza per i ragazzi. Vuol dire didattica a distanza mediata dai genitori. Questo è diventato un aggravio

enorme per le donne che lavorano,

anche se da casa. E la

cosa è destinata a peggiorare.

Dal 4 maggio infatti molte lavoratric­i

potranno o dovranno o vorranno riprendere

ad andare in ufficio o in fabbrica. Ma i figli quasi

sicurament­e rimarranno a casa, perché a quanto si

capisce far riprendere la scuola insieme alle aziende

è considerat­o compito troppo improbo. Chi si

occuperà dei figli a casa quando entrambi i genitori

dovranno tornare al lavoro? E in quanti casi sarà

la donna a non tornare, per occuparsi dei figli?

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