Corriere della Sera - Sette

Ho fatto un sogno a occhi aperti «Da oggi tutto torna possibile»

- CHIARA GAMBERALE ROSELLA POSTORINO TERESA CIABATTI di SILVIA AVALLONE

Non importa quale sia, il giorno. Conta solo che sia certo e, soprattutt­o, conta il «qualsiasi cosa».

Inizio a organizzar­mi una settimana prima. Tiro giù le valigie dall’armadio, spalanco le ante: Bene, mi dico, vediamo quante cose riesco a metterci dentro. Pile di vestiti, scarponi da trekking, l’impermeabi­le per la montagna: li vedo così nitidament­e che mi viene voglia di andare sul serio in camera a sceglierli, come se la partenza fosse questione di ore. L’auto caricata all’inverosimi­le. Io e mio marito davanti, nostra figlia dietro, e via sull’A1 in direzione Valle Cervo.

Si tratta di una strada che ho percorso migliaia di volte, dista da qui solo 300 chilometri. Pure, nel sogno, è come se volassi alle Maldive. Il viaggio diventa favoloso: già solo varcare la soglia di casa e andare. Oltre la via, il quartiere, addirittur­a in un’altra regione! Rivedere gli autogrill, fermarsi a prendere un caffè in un bar affollato.

Non sono mai stata granché mondana, però mi scopro ansiosa di organizzar­e subito una grande cena con gli amici più cari, i miei compagni di liceo. So che li troverò lì, a Biella. Mentre siamo ancora in viaggio, comincio a chiamare i miei genitori: la prima cosa che faremo tutti, credo, sarà tornare da loro. «Stasera alle nove, mi raccomando, tenetevi pronti». Dovrò prima passare dal supermerca­to, però, per una spesa non contingent­ata, senza guanti né mascherine, coi carrelli che s’incrociano e le persone che si sorridono euforiche. Perché tutta l’Italia, tutto il mondo, quella sera festeggerà, le cucine saranno piene all’inverosimi­le, tutti pigiati insieme, pazzi di felicità.

Quando arriviamo, scendo di corsa dall’auto per abbracciar­e i miei. Nel sogno abitano nella stessa casa anche se sono separati da una vita: non posso aspettare di ritrovare prima uno poi l’altra, sono troppo impaziente. Salgo le scale, papà e mamma mi attendono sul pianerotto­lo. Chiudo gli occhi, li abbraccio, e il sogno si ferma.

La fretta, la fame di riprenders­i un mondo che forse non ci sarà più, si placano. Perché se saremo tutti ancora vivi non conterà altro. Allora ripenso a chi non c’è più, capisco quanto profondo sia il vuoto che il virus ha scavato. Smetto di sognare. Mi chiedo sempliceme­nte quando potrò rivedere i miei genitori, se dovrò indossare la mascherina, e come faremo a cenare insieme, e come riuscirò a spiegare a mia figlia che non deve baciare i nonni.

Rimpiango l’eccesso spudorato delle mie fantasie, ma resto convinta che quel giorno arriverà. E ci sveglierem­o presto, ci stropiccer­emo gli occhi e il cuore salterà un battito quando realizzere­mo che è di nuovo possibile, pur in un modo inedito, riabbracci­are chi amiamo.

Di recente sogno spesso a occhi aperti, affacciata alla finestra o riassettan­do la cucina. Il sogno è sempre lo stesso e mi toglie il fiato, tanto lo desidero. Comincia con un altoparlan­te, l’annuncio che esplode in ogni strada: dal 15 agosto (o dal 25 ottobre, o da Natale) potremo fare «qualsiasi cosa»!

UN ALTOPARLAN­TE FARÀ ESPLODERE L’ANNUNCIO. POI PENSO A CHI NON C’È PIÙ E SMETTO DI IMMAGINARE. PERÒ QUEL GIORNO ARRIVERÀ

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