Ho fatto un sogno a occhi aperti «Da oggi tutto torna possibile»
Non importa quale sia, il giorno. Conta solo che sia certo e, soprattutto, conta il «qualsiasi cosa».
Inizio a organizzarmi una settimana prima. Tiro giù le valigie dall’armadio, spalanco le ante: Bene, mi dico, vediamo quante cose riesco a metterci dentro. Pile di vestiti, scarponi da trekking, l’impermeabile per la montagna: li vedo così nitidamente che mi viene voglia di andare sul serio in camera a sceglierli, come se la partenza fosse questione di ore. L’auto caricata all’inverosimile. Io e mio marito davanti, nostra figlia dietro, e via sull’A1 in direzione Valle Cervo.
Si tratta di una strada che ho percorso migliaia di volte, dista da qui solo 300 chilometri. Pure, nel sogno, è come se volassi alle Maldive. Il viaggio diventa favoloso: già solo varcare la soglia di casa e andare. Oltre la via, il quartiere, addirittura in un’altra regione! Rivedere gli autogrill, fermarsi a prendere un caffè in un bar affollato.
Non sono mai stata granché mondana, però mi scopro ansiosa di organizzare subito una grande cena con gli amici più cari, i miei compagni di liceo. So che li troverò lì, a Biella. Mentre siamo ancora in viaggio, comincio a chiamare i miei genitori: la prima cosa che faremo tutti, credo, sarà tornare da loro. «Stasera alle nove, mi raccomando, tenetevi pronti». Dovrò prima passare dal supermercato, però, per una spesa non contingentata, senza guanti né mascherine, coi carrelli che s’incrociano e le persone che si sorridono euforiche. Perché tutta l’Italia, tutto il mondo, quella sera festeggerà, le cucine saranno piene all’inverosimile, tutti pigiati insieme, pazzi di felicità.
Quando arriviamo, scendo di corsa dall’auto per abbracciare i miei. Nel sogno abitano nella stessa casa anche se sono separati da una vita: non posso aspettare di ritrovare prima uno poi l’altra, sono troppo impaziente. Salgo le scale, papà e mamma mi attendono sul pianerottolo. Chiudo gli occhi, li abbraccio, e il sogno si ferma.
La fretta, la fame di riprendersi un mondo che forse non ci sarà più, si placano. Perché se saremo tutti ancora vivi non conterà altro. Allora ripenso a chi non c’è più, capisco quanto profondo sia il vuoto che il virus ha scavato. Smetto di sognare. Mi chiedo semplicemente quando potrò rivedere i miei genitori, se dovrò indossare la mascherina, e come faremo a cenare insieme, e come riuscirò a spiegare a mia figlia che non deve baciare i nonni.
Rimpiango l’eccesso spudorato delle mie fantasie, ma resto convinta che quel giorno arriverà. E ci sveglieremo presto, ci stropicceremo gli occhi e il cuore salterà un battito quando realizzeremo che è di nuovo possibile, pur in un modo inedito, riabbracciare chi amiamo.
Di recente sogno spesso a occhi aperti, affacciata alla finestra o riassettando la cucina. Il sogno è sempre lo stesso e mi toglie il fiato, tanto lo desidero. Comincia con un altoparlante, l’annuncio che esplode in ogni strada: dal 15 agosto (o dal 25 ottobre, o da Natale) potremo fare «qualsiasi cosa»!
UN ALTOPARLANTE FARÀ ESPLODERE L’ANNUNCIO. POI PENSO A CHI NON C’È PIÙ E SMETTO DI IMMAGINARE. PERÒ QUEL GIORNO ARRIVERÀ