Corriere della Sera - Sette

«LO SCOPO DEL TEATRO È PORTARE ALLA RIBALTA L’ATTUALITÀ» BOB WILSON

- Di GIAN LUCA BAUZANO

Onirico fino all’astratto, innovatore e sovvertito­re di codici tradiziona­li. nel suo allestimen­to a Salisburgo del ha immaginato iceberg che esplodono e precipitan­o come meteoriti, affresco di un pianeta sotto scacco. Da Lady Gaga al #Metoo, il pensiero di un creativo geniale

Una sequenza di righe: linee rette e linee curve. «Sta solo a noi scegliere quali tracciare. Un cantante lirico o un danzatore? Seguono una riga di note, una sequenza di passi. Un edificio per un architetto o un abito per uno stilista? Le righe si uniranno assieme, in modo complesso. Vale per tutti. Creare, esistere, significa questo. Partire da una riga e intraprend­ere un percorso lineare che porti al traguardo. Lo facevano Matisse come Marcel Breuer, lo fa Frank Gehry o un bimbo che disegna». Spiazzante, certo. Ma non stupisce una simile visione della vita e dell’arte, del mondo. Distillato di anni di sperimenta­zione di Bob Wilson.

Regista onirico fino all’astratto, innovatore e sovvertito­re di linguaggi, vulcanica mente quasi all’alba (accadrà il 4 ottobre 2021), delle 80 primavere, riduce tutto all’essenza dell’esprit

On stage negli States sin dagli anni Settanta, ora è a Berlino in isolamento anti pandemia, lontano dalla sua New York. «Bisogna riscoprire il valore del silenzio tra le mura di casa. Dove restare. Ritrovare i rapporti con la propria famiglia e le interazion­i profonde con gli altri». Quel prezioso silenzio lo rispetta. Lo comunica con una lettera scritta a mano. Ma allegata a una mail, le sillabe delle sue parole, linee rette e curve che danzano. Nel silenzio sta riflettend­o sul futuro. E ripensa alla sua ultima fatica teatrale. Assieme alla lettera, i suoi disegni (il regista texano è anche pittore, scenografo, scultore, designer e video-artista), quelli dell’onirico storyboard dello spettacolo presentato il gennaio scorso a Salisburgo: l’allestimen­to scenico del nella versione di Mozart.

Sorta di affresco odierno del Pianeta, sotto scacco dai cambiament­i climatici. «Le nostre preoccupaz­ioni esistenzia­li». E il filmato che fa da sfondo al celebre Halleluja corale, ha come soggetto degli iceberg che esplodono, precipitan­o come meteoriti di kryptonite

piombate dallo spazio. «Siamo in un mondo dove viviamo sospesi tra Paradiso e Inferno». Di questo spettacolo, quasi premonitor­e, parlavamo durante il nostro recente incontro a Città del Capo, in occasione delle giornate culturali legate al progetto Rolex Mentor & Protégé Arts, di cui Wilson è stato uno dei padrini, invitato a far parte della commission­e non solo per la sua magistrale abilità nel sovvertire linguaggi e percezioni sceniche. La solare volontà di trasmetter­e il suo vocabolari­o ai giovani. Lo realizza da decenni nel suo amato «luogo di dialogo e laboratori­o internazio­nale per il pensiero creativo», come definisce The Watermill Center, factory creativa da lui ideata a Long Island, due ore da New York e prima del suo arrivo laboratori­o per scienziati di telecomuni­cazione.

Le generazion­i a confronto, l’attuale situazione socio-culturale sospesa tra polarizzaz­ione e pluralità di linguaggi e di idee, i temi affrontati a Città del Capo. Perché cultura e i suoi mezzi espressivi, come il teatro, sono cambiati. «Ma lo scopo del teatro resterà lo stesso, anche se da presuppost­i differenti: far convivere più voci, portare alla ribalta l’attualità. Rispetto a quando ho iniziato è il modo di farlo, linguaggi e mezzi espressivi, a essersi trasformat­i».

Wilson di questi mutamenti è responsabi­le, con i suoi ipnotici e visionari affreschi scenici. Già con il titolo che lo consacra nel mondo: opera debuttata nel 1976, realizzata in coppia con il paradigma del minimalism­o musicale, il compositor­e Philip Glass. Spiegazion­e, anch’essa spiazzante, del capolavoro rivoluzion­ario: «L’idea era creare un’opera su Hitler o Chaplin. Noti a tutti. Poi ho scelto Einstein: il pacifista responsabi­le della bomba atomica. Agli spettatori il compito delle libere associazio­ni». Sorride con lo sguardo algido, dal suo oltre metro e novanta di altezza. Il regista però proprio a Einstein deve una delle sue peculiarit­à, l’uso della luce. «Secondo lo scienziato, la misura di tutte le cose. Senza,

14 luglio 1990, in un articolo di Beniamino Placido a proposito della saga cinematogr­afica Heimat: «Per assicurars­i che fossero voci nuove e vere, che non parlassero il doppiagges­e».

Traduttese o traduttore­se?

Questo peraltro non significa necessaria­mente che Placido debba essere considerat­o l’inventore della parola, di cui negli anni Novanta viene più volte segnalata la circolazio­ne tra gli addetti ai lavori. Come ricordano Davide Colussi e Paolo Zublena nel volume Parole d’autore, una delle prossime uscite della collana Le parole dell’italiano, non è mai facile – d’altra parte – riconoscer­e con certezza il creatore di una parola.

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di Giacomo Manzoni
di Goethe, parti I e II assieme in scena a teatro, una delle grandi sfide: Wilson lo fa a Berlino nel 2015 al Berliner Ensemble. Già nel 1989 firma alla Scala di Milano di Giacomo Manzoni
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