Si arresta la città, la vita si fa quadro
È facile scivolare nelle immagini di Adam Zagajewski (nato nel 1945 a Leopoli, ora L’viv in Ucraina), poeta polacco migrato tra l’America e Parigi durante il regime comunista. Si ha l’impressione di allungare la mano e trovare, tra i vestiti puliti, un sacchetto di lavanda. Immagini domestiche, di origine naturale («Le albe sono cieche come gattini») o naturalmente metropolitana («Quanto immobili stanno sulle scale mobili / le statue dei miei cari sconosciuti»). Una poesia semantica, metafisica, che arriva al cuore di tutti con immagini facilmente traducibili in altre lingue. A questo si deve la sua fortuna all’estero. Recentemente è stato citato dall’ebreo americano di origini polacche, Jonathan Safran Foer, che ha appeso una sua poesia alla porta, perché i vicini possano leggerla: Prova a cantare il mondo mutilato (nella raccolta Dalla vita degli oggetti, Adelphi, 2012), un affranto inno alla vita, scritto dopo l’Undici settembre. Indeciso tra «I sogni della corteccia da cui nascono / barche navi e vele» e la vita di città che fermandosi si fa quadro
ho ceduto al secondo per quello strazio in più che consola («Solo nella bellezza altrui / vi è consolazione, nella musica / altrui e in versi stranieri» scrive Zagajewski in Nella bellezza altrui).
Nel turno delle grandi celebrazioni, Leonardo ha passato il testimone a Raffaello Sanzio. Al sommo pittore di Urbino non sarebbero mancati tutti gli onori nel cinquecentenario della morte, se non fosse stato “infettato” dal coronavirus. Lui così fortunato in vita, tanto da essere soprannominato “divino” e da far scrivere al Vasari che non visse da pittore ma da principe, subisce oggi il buio del lockdown, quasi per contrappasso. Nel 1520 Raffaello morì a Roma, a soli 37 anni, in seguito a una febbre violenta, dovuta a un’infezione polmonare (il riferimento non è casuale). Volle essere sepolto al Pantheon, tanto amava la romanità di cui questo monumento è un vertice assieme al Colosseo, e dietro al suo catafalco fu collocato come “testamento” il dipinto della Trasfigurazione ,in cui l’artista rivela le sue doti di grande luminista.
L’attesa per rivedere dal vivo le opere nella mostra celebrativa alle Scuderie del Quirinale accresce le speranze di non perdere il grande appuntamento con lui a Roma, anche alla Domus Aurea e a Villa Farnesina. Ma poi anche a Chantilly, Washington, Berlino, Londra, Dresda, Monaco di Baviera (Ludwig I aveva per lui una venerazione e
Figlio d’arte, colto, bello, dai modi gentili e principeschi, l’artista nato a Urbino nel 1483 e morto 500 anni fa ebbe a Roma l’occasione della vita per dimostrare tutta la sua bravura. Alle Scuderie del Quirinale la mostra celebrativa è off limits, ma online vive nel suo splendore
nell’800, pittori tedeschi cosiddetti Nazareni s’ispiravano al Sanzio: ambivano alla sua “purezza” e perfezione). I teli neri che oggi proteggono le opere chiuse al buio nelle sale delle Scuderie sono simbolicamente listate a lutto in questa “fase 1”, ma già si pensa alla “fase 2” secondo come avverranno le riaperture, per rinegoziare i prestiti, senza troppe rigidità. Nel mentre i contenuti online e sui social (oltre un milione di visualizzazioni) ci preparano a rivedere, in modo approfondito, gli originali.
La principale fama di Raffaello deriva dalla sua maestria nel dipingere decine di Madonne con il Bambino, nella più vasta gamma di espressioni che mai si conosca, e che ci attraggono per la loro sublime bellezza e levità contemplativa (dove, nell’impianto compositivo, affiora la lezione leonardesca da lui assorbita) come la notissima Madonna d’Alba che realizzò per l’umanista Paolo Giovio, suo primo biografo. Ma Raffaello fu un artista totale — in questo senso premoderno — che si applicò anche all’architettura, all’urbanistica, all’archeologia preoccupato dallo scempio fatto delle vestigia romane, come scrisse a Leone X in una famosa lettera redatta insieme all’amico
A soli 26 anni dipinse su commissione di papa Giulio II, in Vaticano, il capolavoro della Un convegno di filosofi antichi dove però introdusse anche i volti di Leonardo, Michelangelo, Bramante (e pure il suo). Per lui l’arte è la necessaria guida dell’essere umano
collaboratori. E, nella Roma di papa Giulio II e poi in quella di Leone X (centro finanziario ed enorme cantiere a cielo aperto per il suo riassetto urbanistico) dispiegò tutti i suoi talenti d’artista, di architetto (nel 1514 Raffaello fu messo a capo della Fabbrica di San Pietro) e di cultore dell’archeologia. Fino ad essere nominato nel 1515 Prefetto dei marmi antichi: ogni reperto e ogni iscrizione doveva essere sottoposta al suo vaglio: solo lui poteva decidere ciò che poteva essere conservato, riutilizzato o bruciato per farne calce. La bottega di Raffaello, diversa da quelle quattrocentesche, è all’avanguardia, lui inventa un sistema con assistenti più autonomi e specializzati che condividono ed eseguono i progetti che lui elabora. Così fa fronte ad importanti committenze, anche private, come le decorazioni per Villa Farnesina (dove campeggia l’affresco del Trionfo di Galatea) di proprietà del banchiere senese Agostino Chigi, che aveva l’appalto dell’allume e che prestava denaro ai pontefici per le loro guerre.
«Da Urbino a Roma Raffaello ha un percorso di crescita appassionante, poche volte la Storia ha concesso a un solo individuo di fare così tante imprese importanti in così poco tempo. Come se lui stesso fosse consapevole di un infausto destino incombente», dice il curatore Matteo Lafranconi, anche direttore delle Scuderie. «Il conterraneo Bramante lo aiutò nell’ambiente romano, gli concesse di vedere la volta della Sistina alla quale lavorava Michelangelo. Non credo però alla rivalità tra i due, Raffaello è molto affascinato dalle soluzioni
Poche volte la Storia ha concesso a un solo individuo di fare così tante imprese in così poco tempo. Come se lui stesso fosse consapevole di un infausto destino incombente: morirà a 37 anni per un’infezione polmonare
che Michelangelo adotta, ma non ha un’idea nichilista delle forme come il Buonarroti, né tantomeno quel suo titanismo individualista, lui ha una visione più distaccata. A Roma dà di sé un’immagine molto più grande e complessa di quella che si aveva di lui come “pittore di Madonne”. Sotto Giulio II, papa straordinariamente colto e sofisticato, ha l’occasione della vita: affrescare le Stanze vaticane. Sotto Leone X (papa Medici, figlio di Lorenzo Il Magnifico) che utilizza l’arte in funzione del trionfo politico del pontificato romano, Raffaello ottiene invece le chiavi della città. E coordina quel progetto di riedificazione contornandosi di umanisti, artisti, architetti. Raffaello ha coagulato un sistema delle arti di cui è stato il capo riconosciuto. Quando muore, Roma sprofonda in grande cordoglio, lui aveva avuto l’irripetibile capacità di unire talenti, in una comunità artistica e letteraria».
Tra le 204 opere riunite per la mostra (di cui 49 solo dagli Uffizi) e ben 120 dello stesso Raffaello, quindi autografe o a lui riconducibili, moltissimi sono anche i disegni, a “pietra rossa”, a “pietra nera”. Tra questi lo Studio per Mercurio e Psiche per il Concilio degli Dei per la suburbana Villa Farnesina del Chigi (oggi sede dei Lincei), lo Studio per la cacciata dal Paradiso (prestito della regina Elisabetta). «L’opera ad affresco di Raffaello l’abbiamo per la maggior parte documentata attraverso i disegni, anche questo foglio ci ha consentito di evocarla», dice Marzia Faietti, storica dell’arte, curatrice della mostra e già direttrice del Gabinetto dei disegni e delle
Raffaello non è mai monocorde, ha un percorso di crescita appassionante: aveva molti modi d’interpretare il soggetto, più registri esecutivi. E possedeva la capacità di unire talenti in una comunità artistica e letteraria