Per me, single, il dopo sarà peggio dell’adesso
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Caro Massimo, ho 39 anni e sono single e figlia unica con due genitori un po’ acciaccati. In tutte le mie cerchie di amici, sono l’unica ancora “libera”. Vivo nel paesino di origine, in 30 metri quadrati: due stanze senza porte tra loro, un bagno, nessun balcone. Psicologa di laurea, ma imprestata a tutti i lavori possibili e immaginabili (da maestra elementare a cameriera) per mantenermi. Come unico compagno, un gatto probabilmente bipolare, di nome Baol, che non ne può più di avermi tra i piedi. Ma la sera è lui a regalarmi il momento più bello della giornata. Quando lo sento arrivare sul letto. I suoi passi leggeri sopra le coperte e poi il suo corpo che si allunga accanto al mio, a volte lungo la schiena, altre nell’incavo della pancia. Mi crogiolo in quest’abbraccio, che ancora mi fa sentire viva. In questo periodo è tornato prepotente il mio mal di stomaco e la mia ernia urla cose che non voglio sentire. Ironia della sorte, sono stata pure lasciata a fine 2019, dopo cinque anni di tira e molla. Per una più giovane, con un lavoro migliore, con amici altolocati e una vita più agiata, «più ambiziosa e capace, piena di qualità che mi lasciano a bocca aperta» (testuali parole di lui). Così ora, in questo tempo sospeso, io, che mi nascondo sempre dietro le mille cose da fare, sono costretta a confrontarmi con il mio “non essere mai abbastanza”. Sorrido nelle video chat, guardo la vita degli altri, ascolto pazientemente le lamentele di tutti, già, fortunata io che devo pensare solo a me stessa. Piango dopo, in solitudine. Ma c’è una cosa che forse fa ancora più male. La consapevolezza che per noi single il dopo sarà uguale all’adesso. Anzi, peggio. Finiranno le video chat e i mille messaggi perché nessuno avrà di nuovo più tempo. Non ci sarà nessuno ad aspettarmi là fuori, nessuno ad abbracciarmi stretta, nessuno con cui fare l’amore o programmare un futuro, nessuno che respiri l’odore della mia pelle né che l’accarezzi.
Non ci saranno i caffè con le colleghe nell’intervallo né i bambini ad abbracciarmi il lunedì quando entrano in classe, perché a scuola non si rientrerà più quest’anno e, anche se posso vederli attraverso lo schermo, insegnare è un’altra cosa. Non ci saranno i sabati sera di corsa tra i tavoli in pizzeria perché i locali rimarranno chiusi chissà fino a quando. Mi ritrovo ad invidiare le vite altrui. Vorrei quello per cui loro si lamentano. Soprattutto figli incontenibili e compagni scassapalle. Mi chiudo sempre di più nel mio bozzolo. Ma non ne uscirò farfalla.
Alessandra
CARA ALESSANDRA, triste e solitaria, hai descritto benissimo una condizione molto diffusa e poco raccontata. La quarantena del single. Fa parte della condizione umana idealizzare le situazioni che non vive. Ti confesso che stamattina — mentre venivo letteralmente tirato giù dal letto da un satanasso di otto anni, un altro molto più piccolo mi gattonava simpaticamente sulla pancia chiamandomi mamma, e sua mamma mi ricordava altrettanto simpaticamente tutte le commissioni che avrei dovuto fare — ho pensato con un filo di nostalgia a quando ero l’unico arbitro dei miei risvegli, e a certe mezz’ore deliziose trascorse a leggere il giornale in un silenzio sporcato soltanto dal borbottio della caffettiera… Non farei cambio, se fosse per sempre. Ma per un fine settimana, uno solo… Veniamo a te. La quarantena ti ha congelato la vita quando eri già abbastanza congelata di tuo. Lasciandoti sola, in compagnia di un gatto, a smaltire i postumi di una sconfitta sentimentale. Capisco che l’insieme abbia congiurato a non accrescere la tua autostima. Ma è arrivato il momento di crede
«FINIRANNO LE VIDEO CHAT E I MILLE MESSAGGI PERCHÉ NON CI SARÀ PIÙ TEMPO. NESSUNO MI ASPETTA, LÀ FUORI, PER UN BACIO»
re all’unica cosa in cui, chissà perché, non crede mai nessuno: che la realtà è una proiezione del subconscio e come tale puoi modificarla, se prima modifichi qualcosa dentro di te. Viene molto più facile immaginarla al contrario: mi sento a pezzi perché sono sola. E invece dovresti provare a prenderla per il verso giusto: sono sola perché mi sento a pezzi. Si tratta di una rivoluzione più grande di quelle francese e russa messe insieme. Rivoluzione interiore, roba seria. Ma se riesci a innescarla, ti cambierà per sempre la prospettiva da cui guardi il mondo.
Mi dirai: «Sono socievole, simpatica e piena di iniziativa: perché mai la mia solitudine dovrebbe dipendere da me, invece che da una serie di fattori incontrollabili? Il posto in cui vivo, le persone che frequento, la sfiga di essere stata lasciata proprio quando il mondo si chiudeva su sé stesso, impedendomi persino di andare a svuotare l’anima e un paio di bicchieri al bar con un’amica…». Non posso biasimarti, se la vedi così: è quello che pensiamo tutti di continuo. Che la vita non dipenda da noi, ma da qualcosa di esterno che ci viene negato e contro il quale non possiamo fare altro che lamentarci, accumulando rivendicazioni e frustrazioni. Da qualche tempo sto provando a ribaltare lo schema. Non dico di esserci già riuscito, altrimenti sarei un illuminato, mentre al massimo sembro un abat-jour che lampeggia a intermittenza, sempre a un passo dal fulminarsi. Però questa cosa l’ho capita: noi non otteniamo ciò che vogliamo, ma ciò che siamo. Che siamo nel profondo, intendo. Se tu sei sola, è perché dentro ti senti tale. Sei una donna in gamba, intensa e sensibile, basta vedere come scrivi. Ma non hai fiducia nei tuoi talenti. Preferisci lamentarti e la vita ti dà una mano, offrendoti sempre nuovo materiale per continuare a farlo. Prova a pensare che la Fase Due sia l’inizio della fine della tua solitudine. Scommetti che, se cambi dentro, anche là fuori succederà qualcosa?
Caro Massimo, sono uno di quelli che ha letto sui social gli incitamenti a cambiare vita perché la vita è una sola e la stai inevitabilmente sprecando. Ebbene io l’ho fatto, e mi sono rovinato. Il messaggio che voglio dare? Intimamente ognuno di noi sa qual è la propria strada e imboccare un bivio poco convincente a cinquant’anni non è coraggio, ma incoscienza. Ascoltate voi stessi e non lo sciame mediatico cui siamo sottoposti. Terzani diceva che esiste una bellissima parola, “accontentarsi”, essere contenti; un tesoro incommensurabile che giace silenzioso dentro di noi da sempre.
Luca
CARO LUCA, hai ragione. Le parole, e te lo dice uno che le ha trasformate in un lavoro, sono inadatte a cogliere l’unità di tutte le cose. Ciascuno le interpreta come gli detta il suo stato d’animo. “Accontentarsi” per molti significa rassegnarsi, il verbo degli schiavi, mentre nel senso usato da Terzani (e da te) vuol dire sforzarsi di cercare lo scopo della propria vita dentro e non fuori di sé.