JOLE SANTELLI
gogliosa di come hanno reagito i miei corregionali. La retorica dei meridionali poco rispettosi delle regole l’abbiamo smentita al cento per cento».
Ha avuto paura?
«Mentirei se dicessi di no. Già la notte che erano venuti fuori i primi focolai in Lombardia, a Codogno, avevo chiamato il ministro della Salute Roberto Speranza. Non potevo sapere nulla dell’evoluzione del virus, per cui ho iniziato a prepararmi al peggio».
Come?
«All’inizio dell’emergenza in Calabria avevamo poco più di cento posti di terapia intensiva. Siamo arrivati a quasi duecento. Le dico come la penso: in certi casi, nella vita, è necessario essere bravi a copiare da quelli che ci sono già passati prima di te».
Scegliere chi copiare non è semplice.
«Io ho guardato soprattutto a quello che stava facendo Luca Zaia in Veneto. Ho scelto bene».
La tv ha riacceso la luce sul dramma degli ospedali calabresi.
«Che la nostra sanità fosse in ginocchio non l’abbiamo certo scoperto nelle ultime settimane. Siamo in una situazione di commissariamento figlia di problemi antichi e con un carico pesantissimo di trasferimento di risorse, di fondi tagliati».
La sanità calabrese era finita in ginocchio prima dei fondi tagliati, non crede?
«Questa storia del Covid-19 ci ricorderà anche in futuro che comunque non si possono praticare tagli sulla vita delle persone».
Quanto tempo ci vorrebbe per arrivare a una situazione di efficienza, in una regione come la Calabria?
«Ci vorrebbero anni, parecchi anni, per arrivare all’eccellenza. Molti di meno per raggiungere quel minimo di efficienza che ancora non abbiamo. Dobbiamo invertire la tendenza e capire che la sanità è un servizio da rendere al cittadino, non al singolo primario».
Luigi Camporota, medico calabrese, ha fatto parte del team che ha avuto in cura il premier britannico Boris Johnson. Questa storia le fa rabbia perché quel medico avrebbe dovuto lavorare in Calabria o invece la riempie d’orgoglio?
«Mi riempie d’orgoglio. Ciascuno deve sentirsi libero di seguire le proprie ambizioni dove crede. Quando ci riesce un mio corregionale, che si è formato e ha studiato in Calabria, io ne sono felice».
Il dramma del Covid-19 ha mostrato che dove governa una donna si ottengono risultati migliori.
«Io lavoro bene con tutti ma devo dire, e quest’emergenza mi ha dato ulteriori prove, che le donne nei momenti di crisi sanno essere più pragmatiche. Un dialogo tra donne, spesso, risolve i problemi con più rapidità. Le faccio l’esempio di una telefonata con una donna che sta in un’azienda sanitaria provinciale. “Quanti tamponi hai a Reggio Calabria? Diecimila? Mandamene tremila a Catanzaro e domani te li restituisco”. Problema risolto».
Quanto le fa paura l’idea delle spiagge calabresi affollate d’estate?
«Chi viene qui dovrà farlo in massima sicurezza, per sé e per chi in Calabria vive tutto l’anno. Stiamo programmando un’estate, diciamo così, diversa dal solito».
Come?
«L’estate che sta arrivando non potrà essere uguale alle altre. Stiamo pensando a come potenziare e favorire soluzioni alternative al mare. Ad esempio, puntando molto
La scelta della governatrice di chiudere subito è stata elogiata dal «Abbiamo smentito la retorica dei meridionali poco rispettosi delle regole. Io lavoro bene con tutti ma un dialogo tra donne spesso porta a risolvere i problemi prima»
sugli agriturismi che sono nell’entroterra. Ci stiamo lavorando». Durante l’ultima campagna elettorale ha parlato della sua battaglia contro la malattia. Ha avuto paura per sé stessa?
«Glielo dico con sincerità. No, non ho avuto paura per me stessa. Neanche un po’. Quando hai sulle spalle la responsabilità di un’intera regione, la paura non te la puoi permettere. Come non puoi permetterti di stare chiusa in casa. La politica regionale si fa andando in Regione, non stando a casa. E io, infatti, sono stata là, alla mia scrivania».