VIA DELLA SETA
Un anno fa, il presidente Xi Jinping annunciava l’avvio dei lavori di questa opera faraonica per legare ancora di più la Cina all’Europa. L’Italia è stato l’unico Paese del G7 coinvolto. Ora è tutto fermo, ma per quanto ancora?
Era solo un anno fa. A fine aprile del 2019 a Pechino si radunarono 37 capi di Stato e 5 mila delegati e funzionari governativi stranieri per il Forum sulla Via della Seta (nome ufficiale Belt and Road Initiative). Per l’Italia arrivò Giuseppe
Conte, che a marzo aveva firmato a Roma con Xi Jinping l’adesione all’iniziativa economica e geostrategica «del secolo». Con 1.300 miliardi di dollari per 2.000 progetti in 68 Paesi e regioni, la visione del presidente cinese valeva sette volte il Piano Marshall lanciato dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale. La visione di Xi era avvolta da molta nebbia. A partire dal nome: «Yidai Yilu» in mandarino, che significa «Una cintura, una strada»
(belt & road), ma i percorsi oceanici e terrestri erano già almeno sette, per legare la Cina all’Europa, attraverso Asia e Africa. Nuova Via della Seta, l’abbiamo chiamata noi. E a Pechino erano molto soddisfatti dal romanticismo italiano che rimandava alle carovane e ai velieri. E soprattutto, la partecipazione dell’Italia imbarcava nel progetto di Xi il primo e unico Paese del G7. In cambio, incassammo contratti per meno di 3 miliardi, in attesa dell’effetto volano.
I sospetti
Interconnessione, infrastrutture, collegamenti ferroviari, marittimi, ricchezza e sviluppo per tutti, aveva promesso Xi Jinping. Tutto fermo ora, la nuova priorità globale è arginare il coronavirus. La globalizzazione avrà bisogno di terapia intensiva per non morire di Covid-19. Già da tempi non virali, però, gli investimenti della Cina non erano immuni da sospetti e polemiche: diversi Paesi, in Asia soprattutto, segnalarono il rischio della «trappola del debito» e dei grandi progetti in aree sperdute, che servivano a far lavorare le imprese di Pechino (se qualcuno investe 1.300 miliardi, qualcuno deve indebitarsi per la stessa cifra). E poi il rischio che ad approfittare dei lavori fossero mafie locali, politici rapaci, perché Pechino non si interessa a questi dettagli quando firma contratti. Nella steppa del Kazakhstan sono scoppiate proteste intorno al nuovo «porto asciutto» di Khorgos, a duemila chilometri dal mare. Nello Sri Lanka, in Malesia, Indonesia, Cambogia, Pakistan, ci sono altri grandi opere miliardarie sospese.
Un diamante
Ma anche in Cina sono spuntate assurdità nel deserto. Come nel Gansu, provincia occidentale lambita dalle sabbie del Gobi. Svetta un Partenone, maestoso. E intorno il nulla. La copia del tempio greco è una delle tante luminose idee per richiamare l’attenzione sulla Nuova Lanzhou e farla diventare «un diamante sulla Via della Seta». Gli urbanisti del Partito hanno fatto sbancare 700 montagne e colline per spianare l’area.
Gli analisti prevedono che ci vorrà un anno per resuscitare la Belt and Road Initiative: aspettiamoci quindi un altro gran conclave di leader mondiali a Pechino, nell’aprile 2021. Nel frattempo, nel porto di Trieste arrivano container con mascherine cinesi. Pechino ha cominciato a parlare di Via della Seta Sanitaria.