Corriere della Sera - Sette

Il buco nero di Mia Martini

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Quello che Mia Martini chiamava “buco nero” è durato sette anni, un periodo quasi inesplicab­ile di invidia e maldicenza che ha portato una cantante di gran successo, una voce prodigiosa, una donna (quasi) realizzata e impastata di amore per la musica, a lasciar cadere tutti i talenti, i sogni, le ambizioni,

vinta dall’odio di pochi che hanno trascinato con sé i molti. Era l’inizio degli anni Ottanta, anticipo degli hater mediatici che sarebbero venuti poi. «La mia vita era diventata impossibil­e, qualsiasi cosa facessi era destinata a non avere alcun riscontro e tutte le porte mi si chiudevano in faccia. C’era gente che aveva paura di me, che, per esempio, rifiutava di partecipar­e a manifestaz­ioni nelle quali avrei dovuto esserci anch’io», episodi che non val neppure la pena di ricordare, ma che scavarono dentro di lei quel buco nero e che la portarono, dopo un concerto dal vivo, in onore del suo pubblico, a ritirarsi dal mondo. «A quel punto mi sono liberata di tutto. Certo la carta d’identità la devi tenere in tasca, ma non volevo nemmeno quella» aveva raccontato Mia (Domenica/Mimì Bertè) a Rita Angelini del Radiocorri­ere tv .E da lì aveva iniziato un percorso dolente, sola con il suo cane Movie, cacciata di casa a Milano: «Eravamo sole e senza nient’altro che non potesse essere contenuto in una valigia. Ho dovuto imparare a staccarmi dalle cose, dall’idea della casa, ho imparato a costruirme­la dentro, in qualunque luogo mi accogliess­e...».

Parole di sofferenza infinita e trattenuta, eppure quell’intervallo così lungo, quella discesa agli inferi che ha diviso la sua vita in due, fra il primo periodo di creatività blandament­e trasgressi­va – con le bombette e il look da zingara, le zingarate con la sorella Loredana e l’amico Renato Zero, il Piper – e

che per oscure ragioni era rimasta a lungo nei cassetti: Bruno Lauzi, che paragonava Mia a Tenco per l’ombrosità umbratile nel concepire la musica «Anche lei, come lui, era animata da un cupo moralismo e da una serietà a volte sproposita­ta nel giudicare se stessa», l’aveva scritta nella stessa settimana magica di Piccolo Uomo, nel 1972, ma poi non era mai stata incisa, come racconta Menico Caroli nella sua accurata ricostruzi­one di Mia musicista.

Con quell’esibizione Mimì ritrova il suo pubblico: «E in quel momento ho sentito fisicament­e questo abbraccio totale, l’ho sentito proprio sulla pelle. Ed è stato un attimo indimentic­abile», in cui ha archiviato tutto, i contrastat­i rapporti col padre, la famiglia, le sue difficili costruzion­i degli amori, la “bellezza devastante dei dieci anni con Ivano Fossati”.

«Rivederti e ascoltarti» le scrisse allora Domenico Modugno «mi hanno regalato un’emozione fortissima. Sul ring di Sanremo hai vinto un duro match contro la cattiveria del mondo». Anche il sodalizio estetico con gli abiti di Giorgio Armani nascondeva non una resa ai canoni del mondo, ma una ritrovata consonanza con il suo pubblico, con cui voleva comunicare con rinnovata cognizione del dolore suo e altrui: «Voglio solo te e i tuoi abiti» disse allo stilista quando andò a incontrarl­o, portando il provino di Gli uomini non cambiano. «Però ho delle esigenze precise, cioè io devo cantare e per me vuol dire il massimo della concentraz­ione e non posso distrarmi per nessuna cosa», una pence che tira, un tacco o che altro.

Poi chissà, forse per gli antidolori­fici che doveva prendere per un fibroma che non voleva operare per preservare il timbro di voce, o per il solito male di vivere, morì sola in una casa modesta di Cardano al Campo il 12 maggio 1995. Ma con tanti progetti nel cassetto. E parecchi omaggi postumi.

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