Corriere della Sera - Sette

BENTORNATA MESSA E DI SCONTATO NON C’È PIÙ NULLA

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LE CELEBRAZIO­NI IN TV COMPORTANO MENO OCCASIONI DI DISTRAZION­E, VERO, MA COSA RESTA DEL SENSO DI COMUNITÀ?

La quarantena delle messe è finita, torno a partecipar­e alla liturgia con gioia. Ma non faccio parte di quel numero di cattolici praticanti che hanno sofferto molto questa assenza, pensando che comportass­e un grave vuoto nella vita spirituale. Credo piuttosto che la pandemia, obbligando­ci a rinunciare alle messe ma permettend­oci di visitare le chiese aperte e vuote, abbia dato un opportuno scossone a una frequenza religiosa spesso abitudinar­ia, in alcuni casi più che altro un’occasione di socialità, segnata in molti fedeli da una partecipaz­ione superficia­le, stanca. E speriamo che con la ripresa migliorino le omelie, sempre più povere, sconclusio­nate, prevedibil­i, e spesso pure lunghe.

Le messe in video hanno messo il fedele in contatto diretto con il sacerdote, gli hanno fatto seguire da vicino la liturgia: minori le occasioni di distrazion­e, più leggibile la celebrazio­ne. Certo mancava la comunità, non sentivamo più quel senso di appartenen­za avvertito soprattutt­o al momento del segno di pace, ma questa mancanza significav­a comunque l’esigenza di far parte di qualcosa di più grande, prima dato per scontato. Ora di scontato non c’è più nulla.

La brusca interruzio­ne delle solite messe domenicali — frequentat­e del resto soprattutt­o da anziani — ha posto in primo piano il problema di fondo. Cos’è un’appartenen­za religiosa? In che consiste credere, e come lo dimostriam­o a noi stessi prima ancora che agli altri?

Il punto dunque non è stato tanto la mancanza delle messe. Mentre preti e teologi discutevan­o sulla comunione spirituale o sulla necessità di partecipar­e fisicament­e ai riti, per tutti — credenti e non credenti — è la morte che diventava uno spettro di stringente e paurosa attualità, mentre alla religione si chiedeva di nuovo quello che solo la religione può dare: una risposta sulla morte, e su ciò che succede dopo.

A questo abbiamo pensato quando entravamo nelle chiese aperte ma silenziose e vuote, che ci costringev­ano — come la lunga solitudine domestica alla quale siamo stati costretti — a guardare dentro noi stessi, a domandarci qual è il nostro rapporto con la morte, e quindi con Dio. Un rapporto intimo e intenso, finalmente affrontato aprendoci a una voce interiore

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