Cari uomini, ora lasciateci provare Anche a sbagliare
Cara Lilli, mettiamo le donne nei posti di comando solo se brave non perché sono donne. Che dire della Dott.ssa Gismondo del Sacco di Milano che aveva definito come poco più di una normale influenza il Covid-19? O della signora Lagarde che dopo la sua clamorosa gaffe ha dovuto poi ripiegare frettolosamente sulla strada tracciata da Draghi?
Claudio Piccinini piccininic@tiscali.it
chiariamo subito un equivoco. Chi
commettere tanti, anzi tantissimi, vogliamo vedere
cosa succede se a stare fermi un giro, per una volta,
siete voi. Se dovessimo fallire ci assumeremo le nostre
responsabilità, come fanno gli uomini, quelli coraggiosi.
Se dovessimo far bene ci prenderemo il merito.
Ma volete almeno lasciarci provare?
Cara Lilli, voi giornalisti continuate a pronunciare la parola lockdown, evitando ogni sinonimo italiano. Perché?
CARO ANGELO,
Angelo Tirelli antirelli@tiscali.it
nella comunicazione giornalistica
legata all’emergenza coronavirus si fa un largo uso di
smartworking droplet anglismi vecchi e nuovi: da ,da e-learning lockdown.
a appunto Covid-19 è un’epidemia
aglobale ed è per forza globale la lingua che se
Smartworking ne occupa. si potrebbe certamente tradurre
con “lavoro agile”, ma vorrà pur dire qualcosa se digitando il primo sul motore di ricerca Google escono 8,5 milioni di risultati, mentre il secondo non supera gli 800 mila.
Ciò non toglie che il dubbio da lei sollevato sia legittimo.
Se lo pone anche l’Accademia della Crusca,
lockdown
che si chiede se
non potrebbe tradursi con
“confinamento” e “segregazione” oppure – visto che la
parola allude alla chiusura forzosa degli esercizi commerciali
e delle fabbriche – non sarebbe invece meglio
tradurla con «serrata» o «chiusura obbligatoria». La
Crusca ipotizza che il successo di lockdown
(parola americana di origine
carceraria) sia dovuto al fatto
che esso suona meno spaventoso
del più crudo «segregazione». Per
Otto e mezzo quanto mi riguarda, a
utilizzo indifferentemente il termine
inglese e i suoi sinonimi italiani,
ben sapendo che le nostre parole
sono più chiare, trasparenti e belle
ma talvolta l’inglese è più conciso,
diretto e preciso. Direi che le due
lingue possono convivere.