Mai più senza (resilienza)
Ci sono momenti in cui ci aggrappiamo ad alcune parole come fossero salvagenti per tenerci a galla o formule magiche per limitare e tenere a bada la fragilità. Forse per questo, spaventati dal clima pandemico, facciamo così
sovente ricorso alla parola resilienza. Che non è vocabolo nato in laboratorio come antidoto o vaccino al Covid-19. Esiste da tempo, anche se è stato il nuovo millennio a battezzarlo come parola-chiave.
Nel 2011 l’Accademia della Crusca ha sentito il bisogno di tracciare una lunga “biografia” della parola, dalle sue origini latine ai giorni nostri: «Con il significato di “capacità di sostenere gli urti senza spezzarsi”, la parola resilienza ha guadagnato, negli ultimi anni, una sorprendente popolarità, tanto improvvisa da favorirne la percezione come di un calco dall’inglese. Il termine, in realtà, era già presente nel vocabolario italiano, anche se il suo uso e il suo significato – prettamente tecnici – si celavano ai non specialisti. In fisica e in ingegneria resilienza indica la capacità di un materiale di resistere a un urto, assorbendo l’energia che può essere rilasciata in misura variabile dopo la deformazione… Resilienza non è un sinonimo di resistenza: il materiale resiliente non si oppone o contrasta l’urto finché non si spezza, ma lo ammortizza e lo assorbe, in virtù delle proprietà elastiche della propria struttura».
Per superare certi momenti dunque non basta resistere bisogna… Del verbo latino resilire (saltare indietro) non abbiamo continuazioni in italiano; il francese e l’inglese hanno invece a disposizione rispettivamente resilier e to resile. Come ha scritto anni fa Stefano Bartezzaghi, «chi risiede ha una residenza, chi resiste ha una resistenza, chi riverisce ha una riverenza, ma chi ha resilienza cosa sta facendo? Sembra uscita dal nulla, o dall’ombra, e questo conferisce una lieve connotazione ermetica che non nuoce, in una parola che si voglia diventi di moda».
Dentro la parola resilienza si annida una concupiscenza che sarebbe piaciuta molto a Giorgio Manganelli: qualcosa che assomiglia a una carica emotiva, a una fascinazione, a un fastello di attributi e sensazioni. Dici o scrivi resilienza e t’incammini per un sentiero di significati, di assensi, di congiunture opportune o insensate. Per questo, forse, la usiamo con troppa insistenza e poca consistenza.