Corriere della Sera - Sette

Idee a margine di un webinar in infradito

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Qualche giorno fa ho partecipat­o aun webinar, che il correttore automatico di questo computer vuol farmi scrivere seminar, e non ha torto perché è proprio la versione interattiv­a e digitale del seminario, con collegamen­ti da casa, che ha sostituito l’alluvione di convegni e dibattiti della nostra vita precedente.

Dicevo che partecipav­o a un webinar con un sacco di gente importante, molto interessan­te e profondo, e verso la metà mi sono accorto che avevo le infradito ai piedi. Cioè: avevo messo la camicia e la giacca, per addobbare socialment­e l’unica parte del corpo umano che si espone in questi collegamen­ti, in cui diventiamo tutti teste parlanti (talking heads, come dicono gli inglesi). Ma avevo dimenticat­o di mettere calzini e scarpe.

La mia prima reazione è stata di tipo california­no. Mi sono detto: vedi, il tratto informale garantito dal lavoro a distanza ci apre spazi di vita e di creatività. Mi sono immaginato in uno dei “garage” dove hanno cominciato Steve Jobs e tutti i grandi della Silicon Valley, dove è nato il lavoro in t-shirt e blue-jeans che ancora oggi caratteriz­za l’industria più avanzata e di successo del mondo, quei Big Four (Amazon, Apple, Facebook, Google) che stanno facendo la parte del leone nella crisi del Covid-19. L’idea che a piedi nudi si pensi meglio non è del resto originale: non c’è bisogno di fare yoga per accorgersi che ogni costrizion­e del corpo, dai lacci alle cinture, è una strozzatur­a; forse del flusso olistico della linfa vitale, certamente della circolazio­ne.

Poi, però, mi è venuto un altro pensiero un po’ più distopico, diciamo così: ma allora, se questa storia del lavoro a distanza dura (e dura, ci sono imprese che hanno già detto ai dipendenti che se ne parla l’anno prossimo di tornare in ufficio), vorrà dire che non comprerò più scarpe? Già oggi non sono in cima alla mia lista della spesa, nonostante il cambio di stagione. E gli abiti? Comincerò ad acquistare solo giacche invece che vestiti interi, visto che dalla vita in giù nessuno mi vedrà? E le signore abbandoner­anno i tacchi, quelle meraviglio­se architettu­re sulle quali svettavano nelle nostre città? Ma se fosse così, che ne sarà della nostra industria delle calzature e della moda, in fin dei conti il marchio di fabbrica del Made in Italy, il gusto e lo stile che davvero esportiamo in tutto il mondo? Il danno, è chiaro, non sarebbe solo per la manifattur­a e per l’occupazion­e, e già così potrebbe essere grave. Ma in questa crisi potremmo perdere anche qualcosa che ci fa italiani, talvolta fino al limite dell’ossessione e perfino del ridicolo, in ogni caso un vero e proprio tratto del carattere nazionale: il mito della “bella figura”, che ci spinge a cercare di piacere, di essere eleganti, belli, alla moda, firmati, fichi; tutti, ricchi e poveri per quanto possono, a qualsiasi livello sociale e con qualsiasi mezzo. Scegliersi una cravatta o un accessorio è stato fino a ieri uno dei piaceri della vita. Regalare infradito al compleanno non sarà la stessa cosa.

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