La libertà fa paura: scoperta post Covid
Mentre la libertà, secondo Fromm, ti rende dolorosamente responsabile di te stesso e di ciò che fai, ti espone alla solitudine, talvolta alla disapprovazione sociale, alle difficoltà di percorsi che non seguano i binari consentiti. Questa fuga dalla (possibile) libertà mi sembra stia ispirando la reazione di paura e di ripulsa di molti concittadini di fronte alla prospettiva della fine di un lockdown iper restrittivo, anzi coercitivo e persino asfissiante. Troppo facile sarebbe sottolineare il fatto che le persone più disposte al prolungamento sine die di provvedimenti di chiusura sono anche quelle che, tra le tutele richieste, possono disporre di risorse, ammortizzatori sociali, salari, che invece vengono negati a chi vive senza reti, nell’incubo dell’impoverimento se non della miseria.
Ma la «fuga dalla libertà» è interclassista, trasversale, equamente distribuita in tutti gli strati dell’umanità. La clausura ha questo di fondamentale: che deresponsabilizza, infantilizza, costringe gli individui e le comunità alla tirannia del sempre uguale, alla monotonia di una vita superprotetta, senza l’ansia di dover decidere cosa devi fare, come, con quali strumenti, con quali progetti. Il confinamento ti avvolge dentro un bozzolo in cui la ripetitività e l’obbedienza sono l’orizzonte stesso della vita. La libertà è contagiosa, e cioè rappresenta un bene in condizioni normali, ma il peggiore dei mali quando il contagio è la fonte di ogni pericolo. Questo spiega perché gli individui, quando escono da quelle che vengono definite «istituzioni totali», anziché esultare per aver finalmente spezzato le sbarre che li ingabbiavano, abbiano paura di ciò che li aspetta. E questo spiega anche perché la libertà sia un principio che ha dispiegato i suoi effetti molto raramente nella storia umana e anche adesso riesca ad ottenere rispetto e considerazione in porzioni purtroppo molto minoritarie del nostro pianeta dominato da regimi oppressivi e totalitari che spesso godono del consenso dei più.
Il virus del Covid-19 rischia seriamente di trascinare via con sé un gusto per la libertà che ha necessariamente basi molto fragili e vulnerabili. Non ne usciremo migliori, certamente; purtroppo, ne usciremo con un minore attaccamento alle libertà che erroneamente credevamo eterne e irreversibili. Già vediamo con terrore la libertà degli altri semplicemente di passeggiare, vediamo assembramenti appena
Erich Fromm, che sapeva fondere con grande sapienza studi di psicologia e di sociologia, la chiamava «fuga dalla libertà». Perché la libertà mette paura, non è la condizione naturale degli esseri umani che chiedono molto più spesso tutela, protezione, calore comunitario, anche a scapito della libertà.